Giulio e Federica

Sara.61
00giovedì 18 ottobre 2012 15:57
Dal web
GIULIO E FEDERICA


Fu così, da quel primo incontro ravvicinato, che Giulio comprese cosa avrebbe potuto riservargli il legame con Federica. Ne ebbe purtroppo la sola percezione, quasi un monito, un presentimento, poiché quello che effettivamente si sarebbe poi rivelato, superava di gran lunga le più pessimistiche previsioni. Quella donna così sensuale, così lucidamente crudele, così spietata lo attraeva irresistibilmente, magneticamente ma non si trattava solo di attrazione squisitamente fisica, sessuale. Egli sentiva chiaramente crescere dentro sé una sorta di dipendenza psicologica, una formidabile soggezione emozionale che gli faceva piegare le gambe e ritrovarsi in ginocchio non appena i suoi occhi percepivano le forme suadenti dell’inguine della donna.
Federica aveva disegnato nella sua mente le tappe della sua azione di dominio. Alla fine di quel percorso Giulio sarebbe stato il suo schiavo, uno schiavo senza riserve residue, senza moti di ribellione, sarebbe stato un uomo (se così ancora avrebbe potuto definirlo) con l’ego completamente schiacciato, annichilito dalla sua dominante femminilità. Era un ragionamento, un progetto; lucido, senza pecche, senza concessioni, apparentemente perfetto. Ma per quanto fredda, razionale e distaccata, Federica volesse la sua mente nell’elaborazione di questo percorso verso la schiavitù di Giulio, percepiva una nota stonata, una pericolosa spina irritativa che penetrava la sua corazza di lucido acciaio, insinuandone il pungiglione pregno di chissà quale veleno, un veleno forse pericoloso anche per lei.
Gli concesse solo un secondo incontro prima che fosse concordata la data del matrimonio. Al ristorante non fu sorridente ne cordiale, badò solo ad essere irresistibile, morbosamente attraente, pericolosamente silenziosa, un ragno nero al centro del perfetto disegno di fili d’argento. Un ragno paziente quanto spregiudicato, che sapeva osare, rischiare e mettersi in gioco, senza timori ne remore. Questa volta volle legarlo. Le piaceva l’idea anche se non l’aveva mai fatto; l’idea di averlo completamente inabile a qualsiasi movimento la stuzzicava. Le mani dietro la schiena, immobilizzate all’altezza dei gomiti e giù, fino ai polsi. Una fettuccia leggera, di seta blu notte, recuperata da una sua vestaglia, ma sufficiente a rendere immobili le braccia dell’uomo e da espandergli il torace facendogli gonfiare i pettorali appena coperti di bionda lanugine. Poi volle bendarlo. Voleva che i suoi sensi si espandessero privati di quello che per i maschi è il senso primario, la vista. Voleva andare nel profondo delle sue emozioni e per questo aveva bisogno di renderlo immobile, cieco ed eccitato. Non ci volle molto. Giulio teneva le cosce ben divaricate, era un segno della sua sottomissione, lo aveva appreso la prima volta che aveva visto il sesso di lei dischiudersi in un anelito di piacere; per lui era stato solo un momento di umiliazione e di dolore ma anche di inevitabile accettazione dei propri istinti, di riconoscimento delle sue impresentabili pulsioni. Sebbene la situazione fosse di per sé mortificante, rimaneva egli stesso stupito dalla propria ineludibile eccitazione, ritrovarsi con il sesso svettante, palpitante a dispetto della poco onorevole postura, legato, bendato, silenzioso, rimaneva terribilmente eccitato e ne provava vergogna ma anche un perverso, esclusivo senso di esaltazione.
Federica era a suo modo intrigata da quella manifestazione così spudorata ed improbabile di autentico, insopprimibile desiderio. Perfino sorpresa, stupita dal fatto che una situazione così umiliante non fosse solamente mortificante ma potesse costituire addirittura uno stimolo ulteriore ad offrire la propria accondiscendente sessualità ad una regina così particolare, così inusuale. Voleva imbrigliargli il sesso. Voleva piegarlo alla sua volontà, incaprettarlo, controllarlo, ammansirlo. O forse, solo esasperarlo, portalo al limite, sull’orlo del piacere e della disperazione che nel caso di Giulio avevano un margine esattamente coincidente.
- Fai pena! – disse mentendo a se stessa. – Adesso ti concio per le feste, tieni aperte le gambe! –
Si avvicinò alle sue intimità facendo scorrere fra le lunghe dita affusolate la fettuccia sottile che aveva preso dallo stesso pacchetto che lui le aveva presentato per cena, come regalo e promessa di una notte di sensuali carezze. Non aveva mai fatto del bondage ai genitali di un maschio ma non ebbe esitazioni, non un dubbio; la seta sottile scorreva fluida fra le dita stringendo le carni dell’uomo. Veniva tutto facile, semplice, naturale. Voleva innanzitutto strozzargli quell’erezione prepotente, quasi impudica. Voleva che il sangue trovasse spazio per gonfiargli il cazzo già paonazzo ma non trovasse via per fuggirvi. Non solo, voleva che tutta la sua sessualità, i suoi genitali, la sua… anima, le venissero offerti, in una postura oscena ma nel contempo eccitante. Dopo aver dato volta alla base del pene fece correre la sottile fettuccia intorno al sacco dei testicoli, chiudendoli in un cappio come pesci in una rete che viene salpata. Poi fece correre la fettuccia trasversalmente, in una sorta di “X” che isolava un coglione dall’altro, e poi ancora intorno allo scroto a serrare le palle in una sorta di reggiseno estremamente sconfortevole. Fissò il tutto legandolo strettamente alla base del pene. In questo modo i testicoli venivano innaturalmente tirati in avanti, andando a posizionarsi all’immediata base del cazzo anziché sotto, lontani e nascosti come sono nella loro naturale postura. Gi effetti della legatura poi, li facevano apparire più gonfi e corposi, due prugne succose che tendevano la pelle dello scroto facendola divenire lucente e lisca, nonostante la rada peluria che la copriva. Li toccò, sfiorandoli con le lunghe dita. Ne ricevette un scossa che anche l’uomo parve provare. Toccargli quei coglioni strizzati, abilmente separati, divisi, sentirli pieni, sodi, indifesi ed offerti, strizzati, osceni, terribilmente lascivi in quella innaturale postura. E poi far scorrere le dita, sentire quel membro caldo sobbalzare a quel tocco impalpabile, impudico. Eppure lui continuava ad essere eretto, osceno ed affascinante allo stesso tempo. Un erezione impossibile quanto grottesca, esasperata e tenera, dolce e sconcia; senti uno spasmo d’eccitazione percorrerle la schiena, protruderle lo sfintere anale e montare, come un’onda, sul monte di Venere, portando un calore languido e piacevole, soffuso, morbidamente umido fra le cosce. Toccava le noci dell’uomo con una sensazione di potere infinito; quella dura consistenza fra le dita le dava una sensazione strana, mai provata prima. Pensò com’era stato facile e difficile allo stesso tempo arrivare a quella situazione, a quell’istante, a quella piacevolissima sensazione di dominio e di proprio, intimo languore. Non desiderava che godesse ma impugnare quel cazzo svettante fu un desiderio insopprimibile. Si, prendergli il cazzo fra le dita e masturbarlo in tutta la sua calda, sobbalzante consistenza era piacevole. Contemporaneamente stringergli i gingilli in una presa ferrea, ma anche a suo modo tenera, coinvolta, appassionata. Lo stava tenendo per i coglioni, per il cazzo, gli stava masturbando forsennatamente l’anima, era… piacevole, maledettamente piacevole e la piccola macchia che piano piano si espandeva sul serico tessuto delle sue mutandine ne era inequivocabile, incontrovertibile segno.
Giulio provava il terrore del buio, bendato, cieco, muto come lo è un pesce od un uccello agonizzante, dignitosamente silenzioso, senza scelta, semplicemente per l’ineluttabilità di chi non ha possibilità d’esprimersi. Esasperato dalle sensazioni di movimento, di calore, di odore soprattutto, privato della possibilità di usare il tatto, le mani, gli avambracci immobilizzati, ma sopra tutto la vista, era cieco, non vedeva ma… percepiva, e la sua mente, autonoma, indisciplinata, disegnava ciò che i suoi occhi non potevano vedere. Poi quella fettuccia. Aveva allargato le cosce, gonfie di muscoli e di sangue per offrire soggezione, devozione, forse una strana forma di amore. Lei lo aveva legato, no, non si può dire così. Gli aveva legato sesso ed ammennicoli. Gli aveva fatto male, glieli aveva tirati in avanti insopportabilmente, così in avanti, così protrusi che gli era sembrato lei volesse strapparli. Si era improvvisamente ricordato di un viaggio negli USA fatto anni prima. C’era andato con una amica di famiglia, una ragazza di New York un po’ schizzata, un po’ eccessiva ma indubbiamente avvenente, sexy. Avevano girato gli stati del Sud, la cotton belt, il Texas infine le spiagge dorate del golfo del Mexico. Il rodeo: perché questi cazzi di tori erano così ansiosi di “sgropparsi” di dosso l’affascinante, macho cow-boy? Selvaggia, naturale insopportazione, aveva pensato lui. – Il cappio doppio che gli circonda la pancia, e… gli strattona le palle…- aveva detto lei, ridendo, mentre protendeva le labbra tumide, appena odorose del Rhum dal quale non voleva separarsi e facendo esplodere la vista dei suoi seni, appena velati di sudore. Il ricordo, improvviso e cocente lo fece sentire simile al toro, legato, assoggettato, ma la differenza stava nella soggezione, che il toro non sopportava mentre lui pareva nutrirsene, un emozione devastante, perversa ma elitaria, sublime, della quale si sentiva un devoto officiante. Le dita di lei, che lo stuzzicavano, lo blandivano, ne succhiavano l’energia quasi come un edera parassita. Il suo sesso, la sua anima, i suoi genitali, offerti, protrusi, donati in un gesto… senza aspettative, senza reciprocità, un’offerta a una dea, senza aspettarsi nulla? No, ciò che riceveva gli piaceva, inutile nasconderlo, gli piaceva e lo eccitava e… lo avvinceva a quella fonte.
A dispetto di entrambi, un’eccitazione sorda che saliva implacabile come la marea pervase senza rispetto sia la femmina che il maschio. Giulio percepì acuita la sua sensazione di costrizione, di controllo. Federica ebbe un riverbero acuto dal toccare impudicamente il sesso di quell’uomo legato, immobilizzato. Le piaceva enormemente averlo fra le dita. Indifeso, imprigionato, succube, un agnellino cui avrebbe potuto infliggere qualsiasi sofferenza avesse voluto. Si bagnò improvvisante, inaspettatamente. Il suo istinto la fece abbandonare la sua posizione accovacciata, distendendo le lunghe gambe, ergendosi improbabilmente sui quei tacchi alti che la rendevano così inaccessibile alla lingua vogliosa del maschio. Troppo lontano, irraggiungibile quell’odore muschiato di femmina, di eccitazione, di desiderio. Giulio distese la schiena, come avrebbe fatto una serpe, allungando la spina dorsale fino allo spasimo pur di raggiungere quel soffice muschio, quella fonte pregna di irresistibili ormoni da leccare, succhiare, respirare. Esserne ricettacolo.
Qualcosa non stava andando per il verso giusto. C’era un inaspettato coinvolgimento, non necessariamente spiacevole, ma certamente non conveniente, non consono al piano. Lo calciò forte, forse troppo, in mezzo alle gambe. Il bel corpo di Giulio si raggomitolò in posizione fetale dopo un gemito strozzato. Troppo per lui, ma non solo. Federica aveva l’impressione di aver messo le dita nel vaso della marmellata, ne sentiva il dolce profumo, ne percepiva il gusto e … ne era spaventata. Il suo piano strategico non avrebbe subito variazioni ne intoppi ma era troppo realista per nascondersi dietro un dito… ciò che stava accadendo… le piaceva… molto, forse di più di ciò che avrebbe mai immaginato.

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KOKA02
00venerdì 19 ottobre 2012 09:38
bellissimo
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