ULTIMA PARTE
Alla domenica mattina puntuale come uno svizzero, ero al suo citofono, ci mise un po’ a rispondere, poi mi aprì, venne alla porta ancora addormentata, con la camicia da notte e le ciabattine, mi fece entrare, andammo subito in cucina, il caffè era sul gas, disposi le paste sul tavolo, avevo preso un po di tutto anche i bigné con la panna, mi offrì il caffè, e si mise a mangiare con voglia due pasticcini, poi sorridendomi “ne vuoi uno anche tu?” butto un bigné con la panna per terra, si tolse la ciabatta dal piede destro, e lo schiacciò bene impiastricciandosi tutto il piede “avanti mangia” fu molto bello leccare tutta la panna dal suo piedino mentre lei sorseggiava il caffè, leccavo bene tutte le dita del suo piede, il sapore della panna dolce accompagnato dal profumo della sua pelle era inebriante, ne schiacciò un altro con l’altro piede, e leccai allo sfinimento, “pulisci anche il pavimento schiavo” leccai anche tutto il residuo dal pavimento, e lei soddisfatta, “buono? Ti piace vero?” mi piaceva tutto di lei, era bellissima ai miei occhi. “Voglio andare a passeggiare in collina, pensi che ci vedrà qualcuno della scuola?” pensai un momento poi dissi “non credo professoressa” lei pensò “va be, rischiamo, vieni in camera voglio che scegli il mio abbigliamento” era primavera, e poi faceva caldo, lei aprì l’armadio, ed in mezzo a tutte le sue gonne ce n’era una azzurra, sembrava molto corta, “a me piacerebbe questa” lei rise “è cortissima scemo,” ma la provò lo stesso, non era poi così corta, arrivava a mezza coscia e le stava benissimo “può andare, e poi” scelsi una camicetta bianca a collo alto molto leggera, “con le calze o senza calze che dici?” “senza calze” mi condusse in bagno dove c’era la scarpiera, “scegli le scarpe” erano tutte abbastanza simili, nere o grigie, marroni, tutte con il tacco alto, “se camminiamo molto, forse sono meglio queste” un paio di vernice bianche, con un tacco più basso, circa 8 centimetri, ma con una punta molto sexy “si mi piacciono vanno bene con la gonna” le indossò, e le stavano molto bene, il mio abbigliamento era il solito jeans e camicia a quadri, scendemmo e salimmo in macchina, mi sembrava di avere la ragazza, ed invece era la mia professoressa, lei era bella allegra, mise in mostra le sue meravigliose cosce , bianche e lisce, osai “posso accarezzarle le gambe” “puoi farlo” accarezzai con amore le sue cosce, ero già eccitato “dai su partiamo, facciamo questa bella passeggiata”.
Arrivammo in collina, nella parte più lontana dalla città, c’era tantissima gente, la giornata era quasi estiva, c’incamminammo per le stradine, ogni tanto mi prendeva sottobraccio “sei contento, di essere con me” ero felice non contento, ero felicissimo “si oh si, professoressa”, arrivammo in un punto solitario dietro ad una vecchia casa abbandonata, mi spinse contro il muro, ed il suo ginocchio sinistro puntò il mio uccello quasi duro, mi baciò sulla bocca, esplorandomi bene con la sua lingua, io la toccai tra le gambe era bagnata, sotto le mutandine, mi feci strada con il dito sulla sua clitoride, ma lei si fermò “non facciamo cazzate, continuiamo la nostra passeggiata schiavo, altrimenti ti scopo qua” mi era piaciuto quello che aveva detto.
Ogni tanto le stavo dietro, “ma lei non voleva “smettila di guardarmi le gambe, lo so che stai indietro per quello maiale” e rise bonariamente, mi riprese sottobraccio, “troviamo una panchina, se non c’è gente ti faccio fare lo schiavetto per un po”.
Trovammo una bella panchina in legno, ma passava gente, lei aspettò che non ci fosse nessuno, e mi disse “mettiti in piedi davanti a me” io mi guardavo intorno eccitato, ed il suo piede raggiunse la mia patta, vi appoggiò la suola, “è duro come il marmo schiavo” mi dava dei colpetti eccitanti, poi con il collo del piede colpiva le palle con calci più forti, che mi facevano sussultare, “ti piace?” facevo solo si con la testa, arrivava gente e lei tirò giù la gamba in fretta, io stavo in piedi, lei accavallò le gambe, e faceva dondolare la scarpa in modo sexy, “ti, piacerebbe inginocchiarti a ciucciare il mio tacco vero?” mi provocava, voleva che rimanessi li a guardarla smaniando di poterla toccare, si accarezzava le gambe con lentezza, e piano sollevava la gonna per farmi vedere di più, mi toccò ancora con la suola, aspettava il momento, e poi mi strusciava il tacco, era eccitante, vedevo il muscolo della sua coscia tendersi per lo sforzo, accarezzai il collo del piede dolcemente, e velocemente abbassandomi lo baciai, lei rise divertita “mi piacerebbe andare a mangiare in qualche posto,che dici?” era la mia donna, era la mia padrona, era troppo bello “c’è un ristorantino molto più avanti, se ha voglia di camminare possiamo andarci” era quasi mezzogiorno, si alzò “andiamo schiavo, ho fame” fu bellissimo, seduti a tavola, eccitati entrambi, lei ogni tanto mi faceva piedino sotto al tavolo, la punta della sua scarpa picchiava sui miei stinchi, e poi puntò direttamente al mio uccello, il suo tacco era piantato bene tra le mie gambe, la tovaglia copriva tutto, mi sorrideva, e schiacciava, io mi contorcevo, “stai fermo e mangia” non era facile, le palle mi facevano un male cane, ed avevo bisogno di venire, se avesse continuato ancora sarei venuto con il suo tacco, ma si era stufata della posizione che teneva quindi tolse il piede, finimmo addirittura con un grappino, e poi prendemmo la via del ritorno, c’era poca gente ora, quando proprio non c’era nessuno per la strada, mi dava un calcio nel culo, “cammina schiavo, ti porto a casa a calci nel culo, perché non dimenticare che sei ancora un asino calzato e vestito” e rideva, ne presi parecchi prima di arrivare alla macchina.
“Cerca un posto appartato ho voglia” ci misi un po’ a trovare quello giusto, ma poi fu una scopata tra due ragazzini, fu una scopata dove non era padrona, si lasciò prendere come fosse veramente la mia ragazza, e mi baciò continuamente, la macchina era diventata il nostro mondo, non ci volle molto, eravamo entrambi pronti. Restammo parecchio abbracciati, poi mi diede una sberla, “muoviti schiavo portami a casa”
Sulla via del ritorno ero triste al pensiero di lasciarla, lei parlava della scuola, e dei progressi che mi avrebbe fatto fare, io pensavo solo a lei a quello che era, era il mio ideale di donna, dominatrice e dolce allo stesso tempo.
Arrivammo sotto casa sua, e la lasciai, salire, a malincuore, tornai a casa felice ma allo stesso tempo triste, non avrei mai voluto lasciarla, la nostra storia continuò così due sere alla settimana a ripetizione, e la domenica gita fuori porta, mi aveva portato ad un livello accettabile, io studiavo come un matto per non deluderla, ma arrivò la fine della scuola, e la maturità incombeva, c’erano gli scritti, avevo tutte sufficienze, in meccanica addirittura sette di orale, d'altronde, me lo aveva promesso, feci un esame discreto, festeggiammo una sera a casa sua, e per la prima volta la vidi veramente rilassata, ma nello stesso tempo un velo di tristezza la ricopriva, non picchiava forte come al solito, anzi era dolce e si faceva solo leccare i piedi, poi prima della fine della serata, “ho chiesto il trasferimento schiavo, non ci vedremo mai più, questa è l’ultima volta” mi crollò il mondo addosso “ma perché?” la implorai, lei nascose il viso tra le mani “perché mi sono innamorata di te, perché non si può, è stato bello, ma devo fermarmi, cosa credi mi dispiace tantissimo, era da tanto che non stavo così bene” due lacrime le rigarono il volto. La mia dominatrice si era incrinata, era successo qualcosa, ora non la vedevo con i soliti occhi, quasi ero dispiaciuto ed incazzato della sua fragilità.
Tornò dura, e imperiosa “ora vattene, vattene mi hai stufata” ma non era la solita voce che dava ordini.
Non presi l’ascensore, lentamente feci le scale, avevo voglia di piangere, andai a casa subito, e mi ripromisi di riparlarle, ma non ci fu niente da fare, e due settimane dopo, era già sparita, davanti a me le vacanze tanto sospirate, ma non me ne fregava un cazzo, la mia più bella storia era finita.