Terza parte
Fu una notte in bianco, appena arrivato in casa dovetti farmi un’altra sega, perché ero troppo eccitato, di dormire non se ne parlava, di una cosa ero sicuro, che alle otto del giorno dopo io avrei suonato quel campanello. Al mattino ero una chiavica occhi gonfi e mal di testa, avevo lezione fino alle due, poi andai a casa non riuscivo neanche a mangiare, il mio pensiero era tutto per la serata, arrivarono le sette, ero già pronto, mangiai un panino, alle otto in punto suonavo il campanello, “non avevo dubbi, ecco il mio ragazzo”, e mi baciò sulla bocca, entrai, lei era vestita come la sera precedente, ma era scalza, “sai dove sono gli stivaletti,su, vai a prenderli, e sai anche come no, quindi muoviti imbranato” a quattro gambe gli portai gli stivali lei era appoggiata al tavolo, “infila gli stivali alla tua ragazza-padrona” scandì bene la parola padrona, mi guardava con un sorriso beffardo, “quante seghe ti sei fatto pensando a ieri sera eh?” “una” “solo una, poco, vuol dire che non ti sono piaciuta” mi venne vicino, e all’improvviso mi tirò un calcio all’altezza dell’anca, così senza preavviso, rimasi sorpreso, me ne arrivò un altro “ahhia” mi spinse sul divano e mi piantò il piede sull’uccello “stasera iniziamo veramente il tuo addestramento da ragazzo-schiavo, vedi quel lenzuolo nero, tiralo via” tolse il piede, io mi alzai, e tolsi il lenzuolo, sotto non c’era un mobile, ma una gogna di legno massiccio, ne avevo viste in televisione, ma anche ad un museo delle torture a San Gimignano, pazzesco che avesse una gogna in salotto, “visto che bello, un oggettino interessante, è tanto tempo che non lo uso, voglio usarlo con te, vedrai, è una sensazione eccezionale, sei completamente annientato, fermo e impossibilitato a muoverti, devi solo attendere, e mentre attendi pensi a quello che potrai subire” la cosa mi atterriva, potevo andarmene, i due calci non facevano presagire una dominazione soft, ma qualcosa di pesante, direi molto pesante, “allora ti faccio vedere come funziona” mi avvicinai, lei sganciò i ganci metallici che tenevano bloccata la parte superiore della gogna, e la alzò, “ vedi qui appoggi il tuo bel collo, e qui c’è il posto per le mani, poi si tira giù e si chiude, e tu sei lì con il tuo deratano e la tua schiena a mia completa disposizione, le gambe vengono legate al fondo vicino ai piedi da questi lacci, così rimangono belle larghe, quando giro dall’altra parte, il tuo bel visino è tutto per me” uno strumento per torturare senza che il malcapitato possa muoversi, si può solo urlare, “senti Anna non credo di poterti accontentare, in questo tuo, chiamiamolo gioco” lei adirata “stronzo cosa sei venuto a fare, cosa pensavi, tu sei il mio giocattolo, il mio schiavo, ormai hai deciso” mi prese per un braccio, “spogliati nudo, non preoccuparti, so quando fermarmi” a malincuore iniziai a spogliarmi, mi prese e mi fece appoggiare la testa, le mani, e chiuse con un rumore metallico i ganci, mi legò i piedi come aveva detto, ed in effetti ero bloccato a novanta gradi, se voleva poteva incularmi con un fallo senza resistenza da parte mia, ormai ero fregato. Mi girava intorno soddisfatta “mi piace quello che vedo” venne vicino alla mia faccia e mi accarezzava, “cosa provi? Non è eccitante, meglio questo che leccare solo i piedi, ora la tua padrona ti farà provare un po di dolore, poi sarà più bello servirmi, sarai completamente mio” se ne andò lasciandomi a pensieri disastrosi, sul dolore che mi avrebbe fatto provare.
Anna tornò completamente nuda, solo con gli stivaletti ai piedi, venne a farsi vedere da me, aveva anche un frustino in mano, e capii dove sarebbe andata fare, “amore mio che bel culetto che hai, bello sodo, e l’uccellino, oh poverino, come piccolo” e si mise ad accarezzarmi il culo e l’uccello, “allora adesso devi contare fino a dieci, capito scandisci bene ad ogni colpo” il tono era cambiato, arrivò la prima frustata nel culo “whaaaaa” che male “ti ho detto di contare” non potevo neanche parlare dal dolore “uuuuunooo” altra frustata “duuuee” e così fino a “Dieciiiiiiiiiiiii” faceva un male terribile, lei mi accarezzava con la mano dove mi aveva colpito, poi mi appoggiò il tacco proprio al centro di una chiappa, e si toccava in mezzo alle gambe, io la vedevo riflessa nella vetrina del mobile “ti è piaciuta questa piccola punizione mio bel ragazzino” con il tacco sembrava me lo volesse bucare il culo, iniziò a prendermi a calci, il dolore era triplo, dai calci dove mi aveva frustato, e poi mi faceva sbattere le spalle contro il legno della gogna, erano dei calcioni potenti, ne avrò contati una ventina, mi venne vicino faccia a faccia, mi baciò in bocca, mi leccò la guancia, “sei mio, tutto mio, ti piace” ero impaurito veramente “mi fai male Anna troppo male” mi rifilò una sberla “ti ho chiesto se ti piace” arrabbiato “no, no che no mi piace” lei riprese a prendermi a calci e frustate, “continuerò fino a che ti piacerà” urlavo dal dolore dissi quello che voleva se bastava farla smettere “siiiii mi piace siiiiiii” lei da cattiva “allora se ti piace continuo” e continuava calci frustate anche nelle gambe “nooooooo, pietà ti prego” smise “smetto anche se ti piace tanto”.
Ero indifeso, dolorante in tutta la parte dietro il culo mi sembrava in fiamme ma anche le gambe bruciavano, pensavo ai lividi che dovevo avere, lei tornò con una sigaretta in mano, non aveva più il frustino, era nuovamente vicino alla mia faccia, “come và ragazzino, sono sempre la tua ragazza vero? Dimmi dove ti fa più male?” “il culo Anna me lo hai distrutto” iniziò ad accarezzarmelo, “mi piace il tu culo sai”, mi diede dei bacini sui lividi, avevo dei brividi in tutto il corpo, “la gogna è uno strumento cattivo, stai tranquillo non lo useremo spesso, adesso devo addestrarti e non c’è niente di meglio per tenerti fermo” fumava tranquillamente e mi sorrideva, si spostò per spegnere la sigaretta, mentre tornava prese una sedia si posizionò davanti a me seduta, solo per arrivarmi con il piede sulla faccia, e così da seduta mi faceva succhiare i suoi tacchi, ogni tanto un calcetto con la punta del piede, poi si alzò era di fianco a me alzava la gamba mi portava il piede sotto al mio mento, e calciava dolcemente il mio viso, come se prendesse la mira “inclina la faccia un pochino” non la mettevo come voleva lei, allora me la mise in posizione in modo di porgergli la guancia, capii dopo perché, voleva calciarmi la faccia con il collo del piede, i calci non erano forti, ma continui “bacia” baciavo e poi lei mi colpiva “bacia” poi si spostava “altro lato sposta il tuo faccino” altro calcio “bacia” non era normale, in che situazione mi ero cacciato, finalmente smise, la mia faccia era o meglio me la sentivo tutta rossa, “che dici per stasera basta con la gogna?” speravo proprio di si “basta ,basta Anna” sganciò e mi liberò, poi anche i piedi, mi misi subito le mani al culo, e quello che sentii furono dei rilievi doloranti quelli nelle gambe li vedevo erano di un rosso vivo, non potevo toccarli, facevano troppo male, di sedersi neanche a parlarne, lei mi venne incontro, mi baciò sulla bocca ci entrò dentro con la lingua, e con la mano mi prese in mano l’uccello, piano, piano lo fece irrigidire, mi stringeva le palle fra le dita, iniziò un movimento per farmi una sega, “basta, giù a quattro gambe, vedi appena ti tocco come ti viene duro, questo è un bel segnale” mi salì a cavalcioni, “portami in cucina” con fatica dolorante come non mai arrivai in cucina, lei stava con tutto il suo peso su di me aveva messo le gambe sulle mie spalle, e le teneva contro il mio petto, non era pesante, ma io ero allo stremo, meno male che scese, ma tenendomi il suo tacco appoggiato sulla schiena si versò da bere da una bottiglia di glen grant “hai sete ragazzo, alzati, apri la bocca” lei bevve un sorso, e me lo sputò in bocca “bevi tira giù,” l’alcool mi dava del sollievo “ne vuoi ancora” feci un cenno con il capo e lei ripetè l’operazione, bevevo dalla sua bocca, era pazzesco, mi ero messo in una situazione che non potevo gestire, anche se ne ero affascinato, il dolore al culo mi riportava ad una realtà pericolosa. “quando non ti dico altro devi stare sempre a quattro gambe, hai capito ragazzino, mai in piedi se non te lo dico io, chiaro” il tutto accompagnato da uno sberlone a mano aperta, che a momenti mi staccava la testa, mi misi subito giù lei risalì a cavalcioni “andiamo in salotto al divano” lei si sedette bella comoda con le gambe accavallate, ed io in ginocchio davanti a lei, in attesa di ordini, non poteva picchiarmi ancora, non ero nello stato di ricevere altre botte, perlomeno nella parte dietro del mio corpo, ed allora puntò al mio petto, mise tutti e due i suoi tacchi sui miei capezzoli centrandoli in pieno, “stai fermo, fammi appoggiare bene” torceva i tacchi per farmi male, ma confronto a quello che avevo subito, erano noccioline, mi spinse via “sdraiati, voglio vedere come funzioni da tappeto” le fredde mattonelle davano un po’ di sollievo al mio culo, ma lei mi salì sul petto, e troneggiava su di me passeggiandomi sopra, avanti e indietro, stava in equilibrio, ma quando mi salì sulle gambe scìvolò due o tre volte lasciando delle strisce rosse con i suoi tacchi, si stabilizzò bene con un piede sulla mia faccia e uno sul petto “che ne dici di questa posizione, non è eccitante, vedermi da sotto”, senza che le rispondessi, iniziò a strisciare il tacco sul mio petto, la pelle si screpolava, al contatto con il tacco, ebbe il coraggio di farmelo anche in faccia, ma io mi girai, con la sua massima ira, mi colpì con il tacco su di una costola “whaaaaa” che male, “stai fermo” “no in faccia no”, lei contrariata “hai ragione in faccia no” ma continuava sul petto, ormai pieno di righe che si incrociavano, mi fece girare la faccia e mi salì su di un orecchio schiacciandomelo, mi faceva male, ma resistevo, “si come tappeto puoi andare bene, direi che per stasera sei a posto” si sedette nuovamente, aprendo le gambe in modo sguaiato, “vieni lecca come sai” dovevo farla venire, era tutta bagnata la leccai lungamente, lei mi teneva un piede schiacciandomi il pisello, e poi venne, mi staccò bruscamente da lei “per un po di giorni non farti vedere, la prossima settimana giovedì alle otto puntuale, rivestiti e vattene a casa” si alzò guardandomi rialzare, facevo fatica, mi raggiunse ancora con un calcio nel culo, che risvegliò i più acuti dolori, ma mi stavo già rivestendo “fermo, devo salutarti”, mi venne vicino e mi baciò come la più appassionata delle ragazze, “vai” girai i tacchi ed ero quasi alla porta quando mi arrivò un altro calcio di punta nel culo, “altro salutino”.