Diventare Schiavo...

amosolodonne
00mercoledì 25 marzo 2015 13:17
E' un racconto che ho preso dal Web (Diavolerie, Il RegnoFemDom)

Capitolo 0
Nostradamus scrive a Diana de Poitier, favorita di Francesco I e Enrico II. "Non avete, signora, alcun bisogno di aumentare i vostri mezzi di seduzione. La vostra bellezza è come il sole, cui basta mostrarsi per essere adorato. Ma se vi fosse un uomo così cieco da non vedere i vostri incanti, se qualcuno resistesse al potere della vostra bellezza sovrana, ricordate l'antico precetto delle Pitonesse: "Quando il tuo corpo sia impuro, guarda e vincerai." Io non mi spiego la causa del potere che la Natura concede alle donne in determinate epoche d'ogni mese, so solamente che questo potere è grande, Usatene quando vi conviene e sarete irresistibilmente amata."
Parte I
Cap. I

... sei solo una stronza rottainculo.
- Si Padrona.
Com'era cominciata questa storia? Semplicemente. La conobbi, e subito ne fui attratto; qualche anno più di me, elegante, caviglie sottili, a tratti quasi timida. C'eravamo incontrati per lavoro. Io scapolo, lei separata da poco, andammo insieme a visionare dei locali da valutare, adibiti a discoteca. Lì scopammo la prima volta. Cominciammo a frequentarci. Splendida situazione, pensavo. Scopare senza impegni, con una donna più o meno indipendente, e per di più gia sposata! Poi, un giorno, mentre facevamo l'amore, fui un po', come dire, aggressivo. Solo un seno strizzato più forte, solo qualche pizzico sui fianchi.

Quando terminammo lei disse, con la sua solita voce suadente:
- ti piace il sadismo, vero?
- si - risposi - perché? Ti ho fatto male?
- no, non mi hai fatto male, e poi anche a me piace il sadismo.
- cosa intendi dire? Sei una masochista? Ti piace essere picchiata?
Rise, e disse
- no, mi piace il sadismo ma sono sadica. E a te cosa piace?

Per dire la verità mi piaceva essere un poco sadico, ma non avevo alcuna conoscenza della materia, per cui cautamente risposi:
- ecco, a me piace il sadomaso
- cosa sai del sadomaso?
- poco, in verità
- bene. Se vuoi t'insegno qualcosa. Vuoi?
- si - dissi con curiosità.

Lei cominciò a spiegarmi che un rapporto Sm era qualcosa di speciale; una specie di sfida fra la/il Dominante e la/lo slave. La Dominante spingeva il sub a superare i limiti della sua conoscenza, ed accettazione, utilizzando l'eccitazione sessuale come molla. Lo schiavo/a accettava la "sfida" nel tentativo di "dimostrare" la usa resistenza e capacità. Più lo schiavo superava le prove, più la Dominante era "sfidata" ad inventare nuove situazioni. Si innescava così un ciclo di "prove", che conduceva ad una intima complicità. Una vera Mistress o Master non erano mai volgari, e tutto era fondato su due pilastri: la safeword ed i limiti concordati. Cioè, le parti concordavano un "limite" oltre il quale non si sarebbe andato ma, comunque, pronunciando la safeword il "gioco" sarebbe stato immediatamente interrotto. Ovviamente per il sub pronunciare la safeword era come dichiarare di arrendersi, di non essere "all'altezza" cosi come per la Mistress andare oltre il "limite" era un "tradimento" inammissibile, equiparabile al "gioco scorretto", che avrebbe posto fine al "gioco", con la "vittoria" del sub.
Chiesi - cosa intendevi dire che non c'è mai volgarità?
- sai cos'è il pissing?
- credo di si; urinare su di una persona
- più o meno - rispose - in pratica, è si, urinare su una persona, ma anche in bocca, per esempio. Ecco, con volgarità si intende questo: se voglio pisciare in bocca al mio schiavo - disse proprio così - provvedo ad andare in bagno un'oretta prima e poi bevo molto the aromatizzato o meglio ancora dello spumante. Non è bello pisciare un liquido maleodorante e stantio. Questo significa non essere volgari.

La guardavo e non sapevo cosa dire. Mi piaceva la pornografia e anche qualcosa di più spinto, non ero un verginello, ma questi concetti mi lasciavano a bocca aperta.
- Vedi - continuò - molti credono di praticare il BDSM, ma pochissimi sanno, e si rendono conto, che questa pratica coinvolge Dom e sub in un rapporto estremamente intimo, che entra nei più profondi nascondigli della mente e dell'anima degli stessi, conducendoli ad una sessualità totale, ma depurata da ogni sentimentalismo. Può sembrarti dicotomico quello che stai ascoltando, ma forse un giorno capirai. Comunque, ora basta per oggi.

Prendendomi per i capelli disse, usando dei termini che non aveva mai pronunciato da quando la conoscevo, "fammi una minetta e lecca fino a quando non ti sborro in bocca."

Ero eccitato come lo ero stato raramente. Leccai con foga, facendola godere e poi la scopai, raggiungendo un orgasmo incredibile. Accendemmo una sigaretta, ci riposammo un poco e poi andammo a cenare fuori.
Passò qualche giorno, poi lei disse:
- allora, visto che ti piace il sm... che ne pensi di diventare il mio schiavo?
- schiavo?
- si. Ho visto che ti piace. Piace anche a me. Facciamo insieme questo "gioco"
- ma...
- nessun ma. Ho deciso. Quello che puoi fare è fissare i limiti e la safeword.

Ero perplesso e non sapevo che fare. Mi sembrava così... diversa. Diversa, decisa, e determinata; troppo diversa dalla ragazza quasi timida che avevo conosciuto. Non sapevo che dire, però, mi stavo eccitando.
- va bene - risposi.
- d'ora in poi quando dico "Inizio" comincia la sessione sadomaso, si chiama così quando "giochiamo" - spiegò - e termina solo quando dico "Finito", o quando tu pronuncerai la safeword. OK? A proposito decidiamo la safeword: deve essere una parola che devi pensare per dirla... ma devi anche ricordarla bene. Hai deciso ?
- Non saprei - dissi - una parola qualunque?
- no. Una parola che deve essere pensata non detta automaticamente, una parola come abracadabra. - pensò un poco e disse - MaryPoppins ti va bene?
- si, va bene.
- bene. Ora parliamo dei limiti. Una vera Mistress rispetta sempre anche un'altro pilastro del BDSM: SSC cioè Sano Sicuro Consensuale. Uno schiavo è una cosa da tenere da conto e da non danneggiare, ne nel corpo ne nella mente. Quindi decidiamo i tuoi limiti. Limiti che varranno fino a quando non decideremo, insieme, di modificarli.
L'ascoltavo affascinato e ipnotizzato.
- ovviamente - proseguì lei - essendo la prima volta che fai questo "gioco" non sei in grado di decidere. Deciderò io per te... se ti fidi. OK?
- si.
- benissimo. Allora facciamo un elenco: Uno: niente sangue o pratiche cruente e che lascino segni permanenti. Due: niente coprofagia e pratiche poco igieniche.
E mi spiegò che c'erano Mistress che facevano leccare le scarpe ai loro schiavi. Scarpe che utilizzavano per uscire. Se a lei fosse venuta voglia di farsi leccare le scarpe avrebbe avuto delle scarpe nuove solo per quest'uso
- Credo che questi limiti bastino. - concluse.
Mi parvero condizioni sufficienti. Non potevo immaginare quello che la fantasia poteva suggerire, la varietà di perversioni che vi poteva essere nella mente, e nemmeno quello che, forse, era ovvio.
- va bene - risposi.
- un'ultima cosa: quando inizia la sessione devi chiamarmi Padrona, ed ad ogni tuo errore o inadempienza sappi che sarai punito. Oggi è sabato. Visto che hai deciso di fare questo "gioco" con me cominciamo subito. Oggi e domani ce ne stiamo chiusi qui. - sorrise ed aggiunse - O vuoi pensarci bene prima di cominciare?
- no, cominciamo. - risposi. Era quasi una settimana che non la vedevo ed ero piuttosto "voglioso".
- allora... "Inizio"
- si
Uno schiaffo mi prese di sorpresa. La guardai.
- credevo di averti detto come rispondere... o sbaglio?
- si Padrona.
- bene. Vai nello stanzino e denudati completamente. Poi torna qui.
- si Padrona.

Andai a spogliarmi. Ero eccitato ma anche imbarazzato. Tornai nel soggiorno. Lei era sul divano semisdraiata. Si era cambiata ed indossava una vestaglia nera trasparente, un sottile reggiseno di pizzo, calze e reggicalze. Non aveva slip.
Sul tavolino era poggiato un frustino.
- fermati. Non devi avvicinarti mai a meno di un metro... a meno che non te lo ordini io. Capito?
- si Padrona
- ora mettiti in posizione d'ispezione: a gambe larghe, avambracci orizzontali dietro la schiena, petto in fuori e sguardo in basso.

Ero sempre più imbarazzato. Non ero mai stato così, nudo ed esposto agli occhi di una donna. Pero ero anche eccitato; un'eccitazione particolare, che, oltre al cazzo, prendeva alla testa, mai provata.

- si Padrona.
Obbedientemente mi misi in posizione.
Lei si alzò e si avvicinò. Mi girò intorno come si fa con un'animale che si deve acquistare.
- Sei eccitato, vedo. Piegati in avanti.
Voleva guardarmi il culo! Stavo per ribattere ma guardandola negli occhi mi frenai. C'è una bella differenza fra lo stare a letto, toccarsi reciprocamente nel semibuio, e trovarsi in quella condizione.
Mi abbassai in avanti. Lei passò dietro di me. Fremevo dall'impotenza; si c'era la parola magica elzapoppins... no MaryPoppins, ma avevamo cominciato da pochi minuti. Quanto era poco, rispetto a quello che avrei subito. Lei guardò, ripasso avanti, tentai di raddrizzarmi. Un colpo di frustino mi colpì sui glutei. - ti ho detto di rialzarti? Ora ti spiego meglio. Tu sei uno schiavo. Uno schiavo è un oggetto. Un oggetto si muove da solo? No! Per cui tu devi muoverti SOLO quando te lo ordino io. E SOLO per fare quello che ti ordino. Raddrizzati e rispondimi: hai capito? - si Padrona.

Avevo dentro di me un turbinio di emozioni. Non capivo più nulla di me. Ero impotente però potevo smettere subito. Ma non volevo. Ero rabbioso ma la rabbia sfociava verso il mio membro rendendolo duro e avvampato come poche volte avevo avuto. Mi vergognavo con questo coso cosi erto davanti a me e Lei - La Padrona - che osservava.
Tornò a sdraiarsi sul divano.
- vieni qui. Accucciati come un bravo cagnolino affianco alla Padrona.

Mi avvicinai. Glielo avrei messo in bocca fino ad affogarla. Sapeva fare dei pompini stupendi. Una bocca asciutta e capiente, una lingua agile e sapiente. Ma il suo sguardo mi ricondusse al "gioco". Guardandomi e, come se avesse letto il mio pensiero, sorridendo disse
- Sei uno schiavo, ora. Accucciati. Subito. Mi semi sdraiai a terra, proprio come un cane, in quella posizione che sarebbe diventata una delle mie posizioni abituali. Lei si alzò ed andò in un'altra camera. Tornò dopo pochi minuti, prese un bicchiere e si versò del liquore, raccolse un giornale, e tornò sul divano. Come se fosse sola nella stanza.

Il mio pene sempre eretto era in attesa... in attesa di cosa? Comunque nell'intento di acquietarlo lo toccai e...
- ahi ahi ahi il mio caro schiavetto - disse La Padrona - non mi sono spiegata bene vedo. Tu sei un oggetto. Ed hai fatto una cosa che gli oggetti non fanno: non si muovono da soli, gli oggetti. Ora ho una doppia incombenza per te: una punizione e le briglie. Si alzo andò in camera da letto e tornò con quelle che sembravano corte cinghie e che si rivelarono...
- allora mio caro schiavetto devo punirti e devo metterti queste: due bracciali ai polsi e due cavigliere; hai qualcosa da dire? Qualche parolina strana?
- no Padrona.
- Bene. Porgi i polsi
Mise ai miei polsi quelle corte cinghie con ai lati dei moschettoni e un anello
- ora le caviglie
Fece lo stesso con le caviglie.
- ed il collo
Cinse con un collare da cani il mio collo.
Avevo indosso quelle cinghie che potevano essere agganciate fra loro... che avrebbero potuto immobilizzare.
- ora la Punizione. In considerazione che oggi è il tuo primo giorno voglio essere buona. Per quello che hai fatto dovresti avere dieci frustate. Ne avrai solo tre. Sei d'accordo?
- si Padrona
- poggiati sullo schienale della poltrona, lascia andare il busto in avanti e allarga le gambe.
Eseguii e... uno, due, tre frustate si abbatterono sui miei glutei procurandomi dolore ma, almeno, facendo rilassare il mio pene.
- ora - disse La Padrona - agganciamo i polsi al collo; così non sarai tentato di toccarti. E visto che ci siamo agganciamo anche il guinzaglio al collare, così cominci ad abituarti.
Cosi fece. Poi mi fece rimettere a fianco del divano, legando il guinzaglio al vicino termosifone. Mise dei cuscini a terra e disse
- bene il mio piccolo schiavo cagnolino. Ora vado a fare un riposino. Stai buono, non abbaiare e non muoverti.
Chiuse le persiane e le tende in modo che fosse buio ed uscì dalla camera chiudendo la porta, lasciandomi solo.
Solo con me stesso e con domande alle quasi non sapevo rispondere. Ero li come un cane - letteralmente - anche se mi sarei potuto liberare, in realtà, perché non erano ne strette ne tanto robuste da non poter essere rotte, ma non volevo. Perché? Stanco di pensare provai ad addormentarmi, ma la posizione semi eretta del mio pene mi teneva in uno stato di eccitazione che non mi permetteva di lasciarmi andare al sonno.
Lei torno dopo un periodo di tempo che non riuscii a quantificare: l'assenza di luce e di riferimenti, lo stato psicologico nel quale mi trovato avevano potuto deformare il tempo: potevano essere passati dieci minuti o tre ore.
Aprì un poco le persiane e vidi che era ancora giorno; avevamo cominciato verso le sedici e trenta, era il mese di aprile ed era ancora giorno. Questo era quanto potevo appurare. Indossava ancora la vestaglia di seta, reggicalze e calze nere, mentre non aveva più il reggiseno. Splendida ed eccitante.
Poi, avvicinandosi e mettendosi a gambe larghe davanti a me, che la guardavo dal basso, disse:
- Ora mi sento proprio bene. Riposata e con un bello schiavo come te.
Sciolse il guinzaglio dal termosifone, staccò i polsi dal collo e, come un cane, mi porto verso il bagno.
- Sei solo uno schiavo, un cane, un oggetto. Quindi non posso vergognarmi davanti a te - disse come parlando da sola.

Si avvicino al water, si mise in posizione come un uomo... e pisciò! Poi, girandosi, prese il guinzaglio e lo staccò, mi spinse spostandomi verso il bidè, mi fece sedere a terra in modo da abbracciare il bidè; con il guinzaglio passato fra il bidè ed il muro fissò entrambi i polsi fra loro. Lei si sedette sul bidè mostrandomi la vagina gocciolante di urina
- Fammi un bidè con la bocca
- ma Padrona... - tentai di dire.
Come se non avesse sentito Lei spostò in avanti il bacino mettendomi in bocca la sua fica bagnata di piscio. Non potevo arretrare per cui, a malavoglia, cominciai a leccarla. - lecca bene. In profondità - disse Lei - che hai una bella lingua lunga e larga. In realtà non vi era molta differenza di sapore rispetto a quando la leccavo normalmente; forse era più una scena che altro - pensai - mentre cominciavo a leccare con solerzia ed attenzione. Sentiva la vulva bagnarsi e la Clito indurire sotto la mia lingua. Mi esplose in bocca, e con un sussulto del bacino mi riversò in bocca il suo liquido. Sciolse i polsi e mi fece alzare. Il mio pene troneggiava davanti a me. Mi guardò, poi pensierosa disse
- Giacché siamo in bagno, è opportuno che tu faccia un po' di pulizie: hai troppi peli attorno al tuo pisellino. Lì ci sono le forbici ed il rasoio: depilati il cazzo e le palle.
Sbalordito la guardai, e mi resi conto che anche lei doveva avere quell'abitudine; i peli del suo pube non erano lunghi quanto dovevano essere. La sua richiesta, o meglio ordine, mi fece capire che era abituata a farlo periodicamente anche su se stessa. Se lo faceva a se stessa io non ero da meno.
- si Padrona. - risposi ubbidientemente.
- rasati bene, se non vuoi che lo faccia io personalmente; potrei sgarrare con il rasoio, o decidere di depilare anche le gambe - disse minacciosamente.
Uscendo lasciò la porta socchiusa. Presi le forbici ed il pettine, e come avevo visto fare al barbiere con la barba, cominciai il "taglio". Mentre all'inizio il mio membro si era "ritirato", nel procedere al taglio ricominciava ad ergersi; giunto a tagliare a zero mi apprestai a rasare completamente. Mi sedetti sul bidè ed insaponai il mio membro oramai di nuovo rigido; nell'insaponarlo sentivo mille piccole punture dei miei stessi peli: che insolita sensazione! Presi il rasoio e cominciai a rasarmi i testicoli e la base del pene, procurandomi un paio di taglietti. Il pube vero e proprio doveva essere solo tagliato corto, come una barba di un paio di giorni. Terminato, mi lavai e nel lavarmi mi accorsi che il mio pene aveva una sensibilità nuova che, già solo la mia mano, suscitava sensazioni stranissime.

Uscii dal bagno e mi recai nel soggiorno dove trovai la Padrona seduta sulla poltrona.
Mi fermai a rispettosa distanza e mi misi in posizione di attesa come avevo imparato: gambe aperte e braccia dietro la schiena.
- Padrona, ho fatto - dissi. Lei si alzò e si avvicinò. Protese la mano e prese il mio cazzo in mano carezzandolo; piccole punture mi fecero sobbalzare. Lei sorrise e disse:
- Vedi, mio piccolo schiavo, com'è sensibile ora il tuo uccellino ? - poi proseguì ridendo - e vedrai fra un paio di giorni. Quindi allacciò il guinzaglio al mio collare e mi porto nella camera da letto. Era "comparsa" una piccola panca, tipo quella che usano gli atleti di sollevamento pesi: lunga circa un metro e 20, larga 35 cm ed alta 50. Le gambe avevano le rotelle e, a metà altezza, degli anelli erano saldati. Ad un lato corto della panca vi era un incavo a semicerchio, e vi erano anche quattro piccole pulegge inserite, nel legno, a circa dieci cm dai due lati corti.

Guardai la panca e compresi che non doveva essere la prima volata che la Padrona esercitava il suo potere, oltre a quello classico della femmina.
- ascoltami bene - disse - ti userò come dildo, cioè userò il tuo cazzo per godere. Ho detto dildo perché tu sei un oggetto e lo è anche il tuo cazzo. Non dovrai assolutamente muoverti, e tanto meno permetterti di godere fino a quando non lo deciderò io. Essendo la prima volta ti permetterò di dirmi una parola che mi avverta che stai per godere; ci penserò io a frenarti. D'accordo?
- si Padrona, risposi.
- siedi sulla panca e sdraiati, lascia andare le braccia ed allarga le gambe mettendole vicino alle gambe della panca; siedi dal lato del semicerchio.
Eseguii e mi trovai steso su quella panca. le gambe e le braccia si trovavano a contatto delle gambe della panca, il mio sedere era all'interno del semicerchio, che aveva i bordi bene arrotondati, lasciandomi l'ano raggiungibile. La Padrona prese una corda bianca, apparentemente soffice ma robusta, si inchinò e fece passare la corda negli anelli della panca e dei bracciali che indossavo. Il risultato era che ero immobilizzato sulla panca; completamente esposto ed immobilizzato. Una sola corda passava negli anelli della panca e negli anelli dei bracciali, quindi sciogliendola e tirandola poteva immediatamente liberarmi.

Lei mi guardò, e disse "hai qualcosa da dire schiavo? qualche strana parolina?"
Capii che stava chiedendomi se volevo interrompere. Certo, ora non era come prima: ero veramente immobilizzato. Veramente in sua balia. In fondo la conoscevo da pochi mesi: poteva farmi d tutto in quella posizione. Ma una voce dentro di me rispose:
- no Padrona, non ho nulla da dire.
- benissimo. Ora ti legherò le palle con questa corda. Solo per questa volta ti concedo di avvertirmi se stai per godere. Mi dirai: "Arancia rossa". Ed io penserò a frenarti. Ricorda, mio piccolo schiavo: raggiungere il godimento è una questione di testa: tu godi prima col cervello e poi col pene. Basta controllare il pensiero, e controlli il pene. Hai capito?
No, non avevo capito, ma risposi "Si Padrona".
Quindi prese un pezzo di corda, che effettivamente era morbida e robusta, e con sapienza mi legò i due testicoli; ne troppo forte ne troppo liberi. Provò a tirare le corda e sentii la trazione sullo scroto. Un piccolo colpo. Ed il pene comincio a rilassarsi. Un altro colpo un po' più forte fece oscillare la mia asta.
- benissimo - disse la Padrona - ora con questa corda possiamo fare due cosa: muovere il tuo uccello e tenere le palle legate: quando stai per godere te le prenderò in mano e stringerò un poco, vedrai che il dolore ti fermerà l'orgasmo.
Lei era su di me, con i suoi seni e la sua splendida fica esposti al mio sguardo.
Poi, prese un'altra corda. Fece un anello da un lato e infilo il mio pene portando l'anello alla base, prese l'altro capo della corda e lo passo in una delle piccole pulegge tirando la corda fino a far essere il mio pene perfettamente verticale. Quindi legò la corda.
- per questa volta potrai guardare, schiavo. Ma non prendere il vizio - disse la Padrona ridendo.
Si mise dal lato della mia testa, divaricò le gambe, face un passo avanti e flettendosi un poco sulle sue gambe si trovò sulla mia testa. Si chinò e, appoggiando le mani sulla panca, mise la sua fica a portata di bocca. Capii subito e cominciai a leccare. Inaspettatamente sentii la sua bocca sulla mia cappella. Una bocca calda ed una lingua agile ed asciutta che leccava, una bocca che succhiava aspirandomi quasi l'anima. In effetti, eravamo nella posizione di un classico 69... però io ero totalmente immobilizzato e lei invece... Sentivo il suo bacino che si muoveva, ed istintivamente mossi il mio: uno strappo alle palle mi riportò al mio ruolo di schiavo. Pochi minuti prima aveva detto: "ti userò come dildo, cioè userò il tuo cazzo per godere. Ho detto dildo perché tu non dovrai assolutamente muoverti, e tanto meno permetterti di godere fino a quando non lo deciderò io." Già... non dovevo muovermi... ma era difficile. Cercai di controllare il mio pensiero: percepivo la sua lingua che scorreva sulla mia asta ancora più sensibile, la sua calda bocca sulla mia cappella, la lingua che batteva con ritmo sul mio filetto ma, contemporaneamente, dovevo controllarmi, e ricordare che ero un oggetto. Sentivo il mio cazzo duro come non mai. La sua fica si inumidiva sempre più velocemente, sotto la lingua la sentivo contrarsi e dilatarsi di piacere, i suoi umori cominciavano a gocciolare bagnando la mia bocca. Muoveva il bacino in modo che la mia lingua penetrasse sempre più in fondo, che i miei denti urtassero la sua Clito, ormai turgida. Sentii un fiotto caldo sulla lingua; aveva goduto con la Clito. Sentivo il mio volto in fiamme, il mio cazzo duro fino a farmi male. Lei si alzò, indietreggiò e disse "alza i piedi da terra"; quindi con un rapido gesto fece roteare la panca di 80 gradi. Ora era quasi sopra il mio cazzo, a gambe allargate. Mi guardò, era arrossata in volto, e, con i seni eccitati e appuntiti, disse "Hai avuto un orgasmo del prepuzio te ne sei accorto? O forse è stato il tuo primo orgasmo del genere? Avevo il cazzo duro e non mi ero accorto di arrivare quindi dissi " No Padrona, non ho goduto"
- quanto sei idiota, come tutti i maschi del resto. Hai avuto un orgasmo del prepuzio, delle goccioline dolcissime, estremamente vischiose e lubrificatrici: tecnicamente si chiama "uretrorrea ex libidine". E' pari all'orgasmo clitoideo delle donne; anche gli uomini hanno un doppio orgasmo, non lo sapevi? Ho voluto fartelo avere per due motivi: il primo per farti conoscere qualcosa che ti era ignota, la seconda perché ora durerai di più, prima di avere un orgasmo con lo sperma, che è pari all'orgasmo vaginale. Se gli uomini conoscessero almeno il loro corpo non scoperebbero con la velocità dei conigli.

Fece un passo avanti e si portò sul pene. Si abbassò leggermente sulle gambe e fece penetrare il mio cazzo nella sua fica, il quale entrò come una lama d'acciaio bollente può entrare nel burro. Lei si fletteva sulle gambe dolcemente, roteando il bacino con ritmo, lentamente. Quando l'avevo scopata in posizioni normali non era mai stata così agile ed esperta. Faceva entrare un poco la cappella, poi roteava il bacino e quindi si sedeva quasi di colpo, per poi rialzarsi molto lentamente fino a farlo uscire. L'anello di corda alla base del mio pene lo teneva in posizione perfettamente verticale, agevolandola. La mia mente era quasi offuscata dal piacere, sentivo il viso bruciarmi, avrei voluto muovermi... e mi mossi. Uno strappo alle palle, mentre ero tutto dentro di Lei, mi immobilizzò. Una risata argentina risuonò e sentii
- Vedi? doppio effetto: ti controllo e... lo muovo dentro di me. Mi piace molto.
E riprese a muoversi. Non la vedevo quasi più. Stavo impazzendo di piacere: se questo era il sadismo... evviva il masochismo. Scordavo che ogni medaglia ha due facce. Sentivo i suoi umori scivolare lungo l'asta, bagnare la corda alla base del pene, bagnare le palle, l'interno delle mie cosce. Lei stava godendo come un fiume in piena. Improvvisamente cambiò ritmo: da rotatorio comincio ad essere un movimento verticale, prima lento e lungo... poi sempre più veloce. Stavo per godere. Appena in tempo mi ricordai delle parole della Padrona e stavo per dire "Arancia Rossa" quando la sentii pronunciare:
- puoi godere, schiavo. Venni dentro di lei con una violenza tale che credo di averle bagnato anche la gola.
- bravo il mio schiavetto - disse alzandosi - sei stato abbastanza bravo ed ubbidiente. Non hai neanche invocato l'Arancia Rossa. Bravo. Poi, chinandosi, in un momento sciolse il nodo della corda che teneva uniti gli anelli e la tirò, quindi sciolse i testicoli e tolse l'altra corda che teneva il mio membro. Ero di nuovo libero, ma, ricordando il suo avvertimento sull'essere un oggetto, non mi mossi.
- benissimo. Hai anche ricordato che sei un oggetto - disse ridendo per poi tornare seria - comunque ora hai sporcato... e devi pulire. Si avvicino alla mia bocca passando a gambe larghe su di me, bagnandomi degli umori che le gocciolavano dalla vagina e ordinò "lecca".
Non lo avevo mai fatto. Non avevo mai leccato il mio sperma. Mi faceva quasi schifo. Lei, dall'alto, fissava i miei occhi che sporgevano da sotto il suo pube.

Sentii delle gocce sulla bocca e vidi Lei che si abbassava, poi sentii due dita chiudermi il naso e, mentre istintivamente aprivo la bocca, dalla sua fica si riversarono nella mia bocca i nostri umori. Neanche il tempo di pensare che la sentii dire "Ingoia. Ingoia e lecca schiavo" Oramai era tutto nella mia bocca. Con uno sforzo ingoiai e a malavoglia allungai la lingua per leccare la fica. Non sapevo dire che sapore avessero i nostri umori mischiati: un po' liquido un po' a granuloso, un po' dolce un po' salato. Continuai a leccarla, ed a ingoiare, fino a quando la sentii dire "Bene. Puoi smettere. Ora alzati e mettiti in posizione d'ispezione" Eseguii alzandomi lentamente. La testa mi girava ed avevo il batticuore.
- bravo il mio schiavo - disse mentre mi toglieva i bracciali - la sessione, per oggi, è "Finito"
Rimasi immobile. Lei mi abbracciò, prese la mia testa fra le mani e mi dette un lungo e dolcissimo bacio. Poi con la mia mano nella sua mi portò verso il letto, dove ci sedemmo vicini.
- ora, se vuoi un consiglio, vai a farti una bella doccia calda, poi ci riposiamo un poco e ti invito a cena fuori. Ti porto nel miglior ristorante a cenare a base di frutti di mare e pesce. Offro io. Imbambolato mi alzai ed andai a lavarmi. Il mio cervello si rifiutava di pensare. Dopo la doccia tornai in camera da letto e mi misi fra le lenzuola; Lei si alzò e disse "subito torno tesoro" Mi addormentai stremato.
Mi svegliai che era sera inoltrata. Lei si stava vestendo.
- Sbrigati dormiglione, altrimenti invece che la cena dovremo ordinare la colazione - disse lei ridendo. Mi affrettai a vestirmi; non sapevo se quello che era accaduto fosse stato un sogno. Poi vidi la panca che era ancora nella stanza, e non ebbi dubbi che fosse accaduto davvero. Uscimmo e cenammo fuori, trascorrendo una serata meravigliosa. Mi sentivo totalmente appagato e soddisfatto. Lei rideva e scherzava, ed io anche.
Non era più la bella donna che avevo conosciuto: era una Dea. Splendida e luminosa. Una Dea alla quale tutto era dovuto.
Non facemmo parola dell'accaduto se non a casa, dopo esserci spogliati, a letto lei disse
- ti è piaciuta la sessione? Era una domanda alla quale non sapevo che rispondere. Possibile che io, proprio io, non avessi una risposta ? Durante tutta la serata vi erano stati dei momenti nei quali avevo pensato all'accaduto, ma avevo il cervello che si rifiutava di seguire un pensiero logico sull'argomento. D'altronde non era possibile non pensare all'accaduto: avevo il pene che ogni tanto mi ricordava della depilazione subita con piccole punture, dovute ai miei stessi peli, e quindi con una sensazione di prurito che mi spingeva a grattarmi. Cercavo di sfregarmi attraverso le tasche dei pantaloni ma Lei, attenta, se ne accorgeva e sorrideva ammiccando.
- Non è facile essere schiavi - risposi - certo mi hai fatto godere come non ho mai goduto. Lei non disse nulla ma mi abbracciò e cominciò ad accarezzarmi. Le sue carezza mi eccitarono e lei abbassò la luce. Cominciammo a fare all'amore; mentre stavo per penetrarla Lei si girò, mettendosi a quattro zampe e porgendomi così il suo tondo culetto. Voleva che la sodomizzassi. Avevo tentato in passato, a mi era sembrata poco interessata a quella pratica. Lei allungò il braccio e prese dal cassetto del comodino un tubetto, porgendomelo. Senza una parola presi il tubetto e capii che era una crema lubrificante. La spalmai sul mio pene depilato e ne misi un poco su un dito, col quale massaggiai il suo buchetto rosato, al centro dei suoi glutei tondi e sodi. Avvicinai la mia asta al suo ano e la sentii premere; Lei dette un colpo col bacino in modo che la mia cappella la penetrasse in un solo colpo. Cominciò a dondolare piano avanti e indietro. Assecondai il suo movimento sodomizzandola fino alle palle e godendole nell'intestino mentre lei mugolava. Mi abbandonai sopra di lei. Lei girò la testa e porse le labbra. Ci baciammo. Poi mi addormentai di colpo, sprofondando in un sonno pesante e senza sogni.
erotaRodA
00mercoledì 25 marzo 2015 19:05
STU-PEN-DO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
pippofocaccia
00mercoledì 25 marzo 2015 19:46
Dura la vita dello schiavo ........ [SM=x829788]
amosolodonne
00giovedì 26 marzo 2015 06:44
Cap. II
Diventare schiavo Cap.II - di bdsmx2

Mi svegliai che era mattino inoltrato. La luce che entrava dal balcone indicava che doveva essere una giornata uggiosa. Mi guardai intorno e non la vidi. Sentii armeggiare in cucina e dopo poco Lei arrivò con una ricca colazione: caffè, marmellata, pane tostato, due zabaglioni troneggiavano su una guantiera. Posò la guantiera sul suo comodino, si rimise a letto sistemandosi seduta, mi baciò frettolosamente e disse " Buongiorno, tesoro. Ho preparato la colazione. Va bene cosi, o desideravi altro ?
- Va benissimo Mise la guantiera fra di noi e mangiammo, facendo qualche ovvia osservazione sul tempo. Terminata la colazione accendemmo la prima sigaretta della giornata, e Lei disse
- Oggi sarà una giornata che non dimenticherai, tesoro. Vai in bagno. Stavo per rispondere che già quello che era accaduto il giorno prima sarebbe stato indimenticabile ma invece mi alzai ed andai in bagno. Mi ero addormentato senza slip ed in bagno, nel lavarmi, mi accorsi che i peli sui testicoli, cresciuti durante la notte, come la barba in faccia, mi pungevano molto di più. Era un fastidio però che, anziché mettere il pene in stato di riposo rendeva lo stesso in uno stato di semi eccitazione permanente. Comunque mi lavai, indossai gli slip che tolsi subito perché accentuavano il pizzicore, ed in accappatoio tornai in camera da letto. Lei era seduta sulla poltroncina. Indossava degli stivali a mezza coscia, uno slip ed un corpetto di pelle aderente e scollato. Con le mani giocherellava col frustino. Era seducente ed eccitante. Ma era anche inquietante.
- Sei pronto? Esitai un momento, guardandola. Poi risposi "si"
- Bene. Allora "Inizio"
- si - risposi, poi ricordando che era iniziato il "gioco", aggiunsi "Padrona".
- In posizione, nudo. Tolsi l'accappatoio e lo misi sul letto. Portai le braccia dietro alla schiena ed allargai le gambe. Il mio pene era quasi rigido. Provavo uno strano senso di vergogna ed, insieme, di vanto. Il mio pene esposto al suo sguardo, liscio come quando ero bambino, ma rigido e grosso come quello dell'uomo che ero. Lei guardò per un lungo momento, poi si alzò e si diresse verso il comò ed aprì l'ultimo cassetto, estraendone tre scatole. Le aprì e poggiò sul ripiano del comò quello che sembrava uno slip con un vibratore collegato, un vibratore semplice ed una terza scatola. Aprì un altra scatolina e ne estrasse delle piccole pinzette da bucato, collegate ad una sottile catenella che posò anch'esse sul comò. Si girò verso di me.
- Guarda bene quello che ho posato sul comò. Vedrai gli oggetti che oggi userò. Hai capito quale programmino ho preparato? Guardai con attenzione: il vibratore, la scatola sul quale era scritto "Klister" le catenine e quello slip che non si capiva bene. Poi ricordai di aver visto su qualche rivista pornografica quello strano slip. Era uno slip al quale era fissato un vibratore esterno della grandezza di un pene normale ed, all'interno dello stesso slip, un altro pene finto un po' più piccolo. Improvvisamente un pensiero mi folgorò: voleva sodomizzarmi. Quella puttana. Ora capivo perché la notte trascorsa si era fatta inculare. Ma lei era una donna. Io ero un uomo; gli uomini non lo prendono in culo. E' contro natura. Però anche per una donna è contro natura. Ed anche la "pulizia" della sua fica, il giorno prima, era stato fare, a Lei, quello che anche Lei aveva fatto, a me, qualche volta, cioè leccarmi il cazzo, sporco di sperma e dei suoi umori, dopo che l'avevo chiavata e goduto dentro di lei. Mi tornarono alla mente le Sue parole: "un rapporto s/m era qualcosa di speciale; una specie di sfida fra la/il Dominante e la/lo slave" Lei era stata parte passiva in quello che ora voleva che facessi io. Con la differenza che ora dovevo essere io la parte passiva. La guardai in silenzio.
- Allora? Non rispondi?
- Si Padrona
- Hai capito ?
- Si Padrona
- Hai qualcosa da dirmi ? Alludeva alla safeword. Lo sapevo. Dovevo farmi inculare! Più che il dolore che avrei provato rifiutavo questo "attentato" alla mia mascolinità. In silenzio la guardavo. Sentivo il mio pene che pendeva fra le gambe.
- Padrona, farà male - dissi nel puerile tentativo di distoglierla dall'intento.
- Non preoccuparti. Se sentirai un po' di dolore devi esserne contento. Il tuo dolore procurerà alla tua Padrona più piacere. Hai altro da dirmi? Esitante risposi
- No Padrona
- Bene. prendi quella scatola. Contiene l'attrezzatura per un clistere. Ne hai mai fatto? Vai in bagno: versa nella sacca un po' di sapone e riempila con dell'acqua calda a 40 gradi; nella scatola c'è un termometro. Appendi la sacca affianco alla vasca, dove troverai un gancio ad un paio di metri da terra. Poi inginocchiati nella vasca e fatti il clistere. Tienilo un poco ed evacua. Lavati bene e non sporcare per terra. E non affrettarti, fai le cose con calma - concluse. Avevo fatto qualche clistere da bambino, e conservavo ancora il ricordo umiliante di mettermi quella cannula nell'ano; il fastidio dell'acqua che penetrava nell'intestino, lo sforzo di contenere l'acqua,la sensazione di liberazione nell'evacuare. Guardavo la Padrona ed il comò alternativamente.
- Cos'è - disse Lei - non lo sai fare? Vuoi che te lo faccia io?
- No Padrona, vado - risposi. Era gia troppo fare il clistere senza che venisse anche Lei a vedermi mentre lo facevo. Mi diressi verso il comò, presi la scatola ed andai in bagno. Io sono abbastanza regolare con le mie funzioni corporali per cui ero gia andato di corpo quella mattina. Preparai il clistere come ordinato dalla Padrona e me lo somministrai, inginocchiato nella vasca. Sentivo l'acqua calda che mi penetrava nelle viscere, una sensazione di calore si spandeva nel mio ventre, e stranamente il mio uccello ricominciò ad ergersi, fino a diventare di nuovo duro. Terminai di riempire il mio intestino e trattenei finché potei; mi liberai, mi lavai e tornai dalla in camera da letto, dalla Padrona.
- Bene. Fatto tutto schiavo?
- Si Padrona
- Ti sei liberato totalmente?
- Si Padrona
- Stai in posizione
- Si Padrona Lei andò verso il comò, prese le due piccole pinzette unite dalla catenella e tornò verso di me, mostrandomele.
- Queste due pinzette servono a stringere i capezzoli, ora te le applico. Premette su una molletta aprendola e me la applicò ad un capezzolo. Il dolore mi fece sussultare. Sul retro della molletta notai una vite a farfalla che serviva a regolare la massima pressione. La Padrona la girò ed il dolore sembrò attenuarsi un poco. Fece lo stesso con l'altro capezzolo. Ora avevo i capezzoli con queste due mollette che stringevano, unite fra loro da una catenella che poi proseguiva quasi fino al mio ombellico.
- Vedi schiavetto mio, anche queste mollette svolgono una doppia funzione: pinzano i capezzoli, facendoti eccitare, e possono immobilizzarti in una posizione qualsiasi fissando la catenella.
- Si Padrona, mormorai. In effetti era come aveva detto Lei. il mio membro stava diventando più duro, e se avesse fissato la catenella.... Prese i bracciali e questa volta me li applicò poco sopra il ginocchio, lasciandomi i polsi liberi. Mi indicò la panca
- Inginocchiati davanti alla panca, dal lato del semicerchio e appoggia il busto sullo panca. Eseguii mentre Lei si avvicinava. Fissò le ginocchia alle gambe della panca tramite i moschettoni, poi prese la catenella e la fece passare in una delle carrucole, tirando quanto bastava affinché fosse in leggera trazione. Avevo le braccia e le mani libere ma ero comunque immobilizzato. Ero prono sulla panca con i capezzoli bloccati dalle mollette fissate alla panca, bloccato e con il sedere esposto; il basso ventre si incuneava nel semicerchio. Lei andò alla poltroncina e si sedette. Sfilò lo slip che indossava e prese quello con il doppio fallo artificiale. Aveva girato la panca affinché potessi vederla mentre si preparava. Allargò le gambe per farmi dare uno sguardo alla sua fica, poi indossò lo slip introducendo il piccolo fallo interno nella sua vagina. Si alzò, si sistemò meglio lo slip e aprì il corpetto esponendo i suoi seni. Era strana con quel pene artificiale che le sbucava fra le gambe.
- Bello questo oggettino, vero ? Non è grande quanto il tuo ma, poiché sei vergine dietro, non voglio farti sentire troppo dolore. Guardami schiavo. Guarda il cazzo che tra poco ti spaccherà il culo. Guarda il cazzo che fra poco scoperà il tuo culetto vergine. Hai visto che ha anche un piccolo pene interno vero? Scopandoti con quello esterno i movimenti si ripercuotono su quello interno. La vedevo e mi sembrava irreale. Troneggiava davanti a me che la guardavo alzando la testa quel tanto che potevo senza tirare la catenella. Inebetito non dissi nulla.
- Hai qualcosa da dire?
- No Padrona. Oramai avevo capito la ritualità di quella domanda. Chiedeva perché era nel "gioco" chiedere, ma Lei sapeva bene che non mi sarei fermato. La Padrona prese lo stesso tubetto che mi aveva passato la notte prima e lo aprì, poi premendolo fece uscire un lungo segmento di crema direttamente sul fallo. La spalmò con tutta la mano. Sembrava un uomo che si stesse masturbando. Prese un cuscino e lo mise a terra dietro di me, fra le mie gambe. Si inginocchiò e prese ad ungermi l'ano con la crema lubrificatrice. Ero furente, ma incapace di reagire. Con le mani mi aggrappai alla panca perché anche quel minimo movimento si ripercuoteva sui miei capezzoli doloranti. Sentivo le sue dita che si muovevano, attorno all'ano e che, agili e sapienti ungevano dentro e fuori. Sentii le sue mani che stringevano le due gambe della panca, confinanti con le mie cosce, in modo da tenersi e tenerla ferma, poi la cappella del fallo poggiarsi delicatamente sul mio ano. Lentamente comincio a penetrarmi. Si fermò un momento e con un colpo dolce ma deciso terminò di rompermi dentro. Il dolore mi esplose nel cervello. Sentivo penetrare lentamente quell'oggetto, sentivo che entrando mi spaccava in due. Il movimento si invertì e cominciò ad uscire. Lentamente come era entrato, usciva. Sentii le lacrime scorrermi sulle guance. La vista si era annebbiata. Quel cazzo finto, lentamente e con metodo, era un pistone nel mio culo. I colpi rimbombavano nello stomaco. Nel tentativo di attenuarli mi spingevo in avanti, ma poi, assecondando il movimento, sentivo le pinzette fissate tramite la catenella al tavolo, tirare i capezzoli. Cercai allora di restare quanto più immobile mi fosse possibile. Il movimento diventò più veloce e la Sua mano, da sotto alla panca, cercava il mio membro. Mi accorsi allora con stupore che era eretto e duro. La sua mano unta di crema, cominciava a massaggiarmi il cazzo ed a masturbarmi. Mi inculava e mi masturbava. La Padrona ora era prona su di me e sentivo sulle spalle i suoi seni turgidi. Non ho idea di quanto tempo passò. So che mi sembrò un'eternità e, ad un certo punto, mentre sentivo muovere il fallo nell'intestino, il mio membro eiaculò con potenza. Immediatamente la Padrona arretrò togliendomi quella tortura dal culo; avvertii che staccava i moschettoni, poi la vidi staccare la catenella. Sentii la sua mano sulla spalla che mi induceva a sollevare il busto dalla panca. Mi alzai e staccò le mollette dai capezzoli.
cx- Bravo il mio schiavetto. Lo hai preso in culo tranquillamente - disse ridendo. La guardai e ricordo ancora oggi quelli occhi: erano lucentissimi, soddisfatti e beffardi. La vidi avvicinarsi al comò, prese dal primo cassetto un'altro tubetto che mi porse.
- Vai in bagno e fai scorrere acqua fredda, a lungo. Poi spalma un po' di questa crema. Fra il dolore delle mollette che persisteva sui miei capezzoli ed il dolore che sentivo all'ano ero intontito. Eseguii in silenzio, asciugandomi gli occhi con il dorso della mano. Quando tornai in camera da letto, trovai dei cuscini a terra vicino alla poltroncina. La Padrona era in piedi, indossava ancora lo slip con il fallo sporco del mio sangue.
- Bene schiavetto. Il bruciore ti passerà presto. Ora accucciati in quell'angolo sui cuscini. Poiché questo è un giorno speciale per te, non ti faro pulire ne a terra dove hai sporcato come il cane che sei, ne il fallo che ti ha posseduto. Ricorda che la regola pero è questa: come sporchi così pulisci. Sono stata chiara? Guardai sotto alla panca e vidi una lunga striscia di sperma a terra.
-Si Padrona. risposi, e mi abbattei sui cuscini. Stremato mi addormentai. Mi svegliai sentendo dei rumori. Alzai gli occhi e vidi la Padrona che mi guardava.
- Hai fame schiavo ?
- Si Padrona. Nonostante la colazione sentivo un forte languore allo stomaco. Dalla luce che entrava dal balcone doveva essere oramai tardo pomeriggio.
- Bravo il mio cane. Mise a terra una ciotola d'alluminio che conteneva delle penne all'arrabbiata. Alzai lo sguardo.
- Se sporchi come un cane, vuol dire che sei un cane. Mangia restando a quattro zampe. Nella mano destra stringeva il frustino. Si diresse alla poltroncina e si sedette guardandomi. Non mi restava che eseguire l'ordine, o dire la parola magica. Ma dopo tutto quello che avevo subito non gliela avrei data vinta solo per non mangiare in una ciotola. Mi misi a quattro zampe e con un po' di difficoltà mangiai. Intanto la Padrona aveva messo un'altra ciotola con dell'acqua. Bere era più facile che mangiare. La Padrona osservava in silenzio. Attese che terminassi e disse:
- Non mi ero sbagliata. Sei portato ad essere schiavo. Orgoglioso, resistente, intelligente ed anche bello a dire il vero. Impari presto, hai buona memoria e non ti fai prendere dal panico. Tutte qualità che faranno di te un ottimo schiavo. Fra ieri ed oggi abbiamo affrontato le prime prove basilari. Ne manca solo una, con la quale concluderemo oggi. Una schiava o schiavo deve sapere usare tutti i suoi buchi. Una donna ne ha tre, ma tu sei un uomo e sei avvantaggiato: ne hai solo due. Alzati, prendi lo slip fallico e portamelo.

Eseguii e la vidi infilarselo nuovamente. Vidi che era ben pulito. Doveva averlo lavato lei.
- Mettiti in ginocchio, avvicinati e fammi un bocchino - disse Una frustata colpì il mio fianco
- Non hai sentito? Sei diventato sordo? Mi inginocchiai e mi avvicinai. La sua mano mi prese per i capelli e spinse la mia bocca verso quel fallo che poco prima mi aveva penetrato. Aprii la bocca. Goffamente cominciai a muovere la testa facendolo entrare nella mia bocca.
- Devi muoverlo di più schiavo. Dimentichi che i movimenti si ripercuotono dentro di me? Non c'è nessun movimento, devi farlo entrare fino in gola, prenderlo delicatamente fra i denti e roteare, ed ondeggiare la testa. Fallo uscire e colpisci il prepuzio con la lingua, con colpi decisi e cadenzati. Spiegandomi come fare un pompino muoveva la mia testa con le mani. Mentre leccavo vedevo la Padrona a tratti dimenarsi, ma come mi distraevo sentivo il frustino accarezzare le mie spalle, pronto a colpire. Il pompino durò per almeno mezza ora, o cosi mi sembrò, poi la Padrona disse
- Allontanati e mettiti in posizione. Grato di terminare, con le mascelle e la lingua dolorante, mi alzai e mi misi in posizione.
- Bravo il mio schiavo. A proposito ho dimenticato di dirti che dopo che hai ricevuto le mie attenzioni devi ringraziarmi. Hai capito?
- Si Padrona. - e aggiunsi - "Grazie Padrona"
- Bene. Dicevo, bravo il mio schiavo troietta. O potrei anche dire brava la mia schiavetta troia e puttana, visto che come una donna ora lo prendi in culo e sai sbocchinare. Sentii il sangue che mi saliva alla testa, ed il volto di fuoco. La guardai e vidi il suo sorriso beffardo.
- Si Padrona, è vero.
- Bene. Visto che sei d'accordo con me, vuol dire che ti chiamerò schiavo o troia, cagnolino o puttana, come mi và al momento. Hai capito, puttana?
- Si Padrona
- E non mi ringrazi di chiamarti col tuo vero nome, troia?
- Si Padrona. Grazie Padrona
- Bene zoccola. La sessione è "Finito"
Si avvicinò, e come il giorno prima mi baciò con passione sussurrandomi "caro il mio tesoro".
amosolodonne
00lunedì 30 marzo 2015 19:42
Cap. III
Una fermata intermedia del treno mi scosse dal torpore. Stavo tornando in città al termine del lavoro che ero andato ad eseguire. Come nell'andata, stavo riflettendo sull'accaduto di sei giorni prima. Ero partito lunedì mattina ed ora, venerdì pomeriggio, stavo rientrando. Una settimana faticosa, a parte il lavoro. Nei primi due giorni avevo provato un fastidio continuo al mio sedere. Niente di violento e doloroso, come mi aspettavo. Probabilmente la crema che lei mi aveva dato, a base di un anestetizzante locale, aveva contribuito ad alleviare il dolore. Era stato un fastidio come... come accade quando si deve andare in bagno fuori casa, e dopo, non ci si può lavare. Poi quel fastidio era passato, e non avevo messo più la crema. Quasi normale. Quasi nessuna differenza. Quasi. La depilazione, invece, era un tormento. Aveva avuto la prerogativa di avermi fatto prendere, tramite l'aumenta sensibilità, "coscienza" del mio pene. Prima ne percepivo l'esistenza solo quando urinavo o mi eccitavo. Ora, invece, esso era quasi sempre in stato di semi eccitazione. Problemi maggiori emergevano quando guardavo qualche donna con particolare attenzione: sentivo che, immediatamente, cresceva nel pantalone per cui avevo preso l'abitudine di togliere sempre meno spesso, quando ero in compagnia, il soprabito o l'impermeabile, che poteva coprire qualche improvvisa erezione. Gli "attacchi" di prurito erano aumentati, ma avevo scoperto che, lavandomi frequentemente, potevo sedarli. Mi ero reso anche conto che la sensibilità era proporzionale al mio stato d'animo: se ero teso, nervoso, aumentava. Una mattina ero dovuto uscire senza slip, tanto risentivo del pizzicore. Per fortuna riuscivo a concentrarmi sul lavoro che eseguivo. Però era anche piacevole sentirlo sempre "presente"; c'erano i pro ed i conto. Come in ogni cosa. Poi l'osservazione, che, come diceva quel tale, "viene spontanea", su di lei. Era chiaro che doveva praticare quei "giochi" da lunga data. Era evidente che era esperta e consapevole delle azioni e reazioni. Era meno chiaro come potesse conciliare quel ruolo di Padrona, così perverso, con quello affettuoso e premuroso che precedeva e seguiva. Forse era una psicopatica. Eccitarmi ed umiliarmi, sodomizzarmi e soddisfarmi, dolce ed affettuosa, dura e volgare fino a diventare oscena. Non era normale. Fra i miei interessi, che erano e sono tanti, vi era anche qualche lettura di testi di base di psicologia; uno di questi aveva un'appendice di psichiatria. Mi sembrava che il suo comportamento fosse proprio da schizofrenia. I giornali erano pieni di fatti "strani", anche se a dire il vero, erano riferiti a vittime donne e non ad uomini. Ci eravamo sentiti al telefono prima di partire, all'epoca i cellulari non erano così diffusi. Mi aspettava a casa sua per cena. Ero, tutto sommato, rilassato e lieto di tornare nella mia città; solo una punta di apprensione guastava il mio benessere. Finalmente il treno giunse in stazione. Presi un taxi che mi portò a casa mia. Una doccia calda, e decisi di vestirmi elegantemente. Vestito "fumo di Londra", camicia di seta con gemelli, le solite scarpe eleganti da sera che fanno un male cane. Un'altro taxi mi portò da lei. Bussai, e Lei venne ad aprire. Mi gettò le braccia al collo abbracciandomi, si ritrasse e disse - ... ma sei splendido. - grazie. Era stupenda, come al solito. Il suo odore, leggermente dolce, colpiva le narici. La sua visione sferzava i miei sensi. "lui" aveva immediatamente reagito. Indietreggiò, mi squadrò e sottolineò - sei davvero eccitante. Entrammo nel soggiorno e subito preparò due drink. Per me gin puro, per lei whisky con acqua. Era premurosa ed affettuosa come una gattina che era stata lontana dal suo padrone. Ridicolo. Ero io suo schiavo, e lei Padrona. Indossava un vestito bordò leggermente scollato, calze nere e scarpe con tacco alto. Molto semplice ed elegante. Al collo un filo di perle. Mi chiese come era andato il lavoro, che avevo fatto la sera, e, sorridendo, con chi ero uscito. Come se avessi avuto il coraggio di uscire con una donna, e mostrare il mio pene depilato. Volevo parlare delle riflessioni che avevo fatto in treno ma non sapevo da che parte cominciare. Non si può chiedere a qualcuno "Sei pazza?" Anche perché, qualora effettivamente lo fosse, non direbbe "si, non lo sapevi? Sono pazza!" La guardavo cercando uno spunto, poi fu Lei ad offrirmelo - ti sono mancata caro? Hai avuto qualche fastidio per i nostri "giochetti"? - disse - no. Nessun fastidio - risposi mentendo - però ho ripensato ai nostri "giochetti", come li chiami tu. Senza riflettere aggiunsi "ma come fai ad essere così dolce e così, come dire, perversa?" Lei mi guardò un lungo momento in silenzio, poi rispose - caro, capisco cosa vuoi dire. Tu sei un uomo intelligente. Segui il mio ragionamento, senza interrompermi, per favore. "Il s/m è un gioco. Come credo tu sappia, i giochi sono una cosa seria. Quando comincio il "gioco" interpreto un ruolo. Cerco di interpretarlo seriamente e con competenza. E di giocare nell'ambito delle regole del giuoco stesso. Sono solo le "gabbie mentali" della gente comune che rende i "giochi" di sesso qualcosa di diverso dal giocare ad un'altro gioco qualsiasi. Tu giochi a poker, quindi quando fai una partita metti tutte le tue capacità, e ci riesci bene perché ti ho visto farlo, nel vincere, nel bluffare e nel trarre in inganno gli avversari. Scopo della partita è vincere, non partecipare. E tu vinci. Giocare a poker e vincere non ti induce però dal fare una vita anormale, a non lavorare per vivere. Certo, c'è chi crede che sia più facile vivere giocando a poker che lavorare. E diventa un professionista del tavolo verde. Magari impara qualche "trucchetto" per vincere con più facilità. Ma diventano anche casi ai limiti della normalità, se non vogliamo dire che diventano casi patologici. Anche nelle attività normali della vita quotidiana, non hai mai osservato che si fa una azione ed un'altra il contrario della stessa? Ti spiego: andiamo in automobile. Ma questo poi ci rende privi delle gambe e non camminiamo più? E che dire quando andiamo al mare? Ti getti in acqua e nuoti: diventi per questo un pesce? E' solo questione di equilibrio mentale, liberandosi delle "gabbie" e dei condizionamenti cosiddetti "perbenisti". Poi diventa tutto semplice e comprensibile. Devi allarmarti se vuoi muoverti solo in auto, senza più camminare a piedi, perché sono i piedi il tuo "naturale", o se decidi di diventare un professionista del tavolo verde. Non prima." Il ragionamento e le parole, la semplicità e la spontaneità con la quale le disse, i suoi occhi che guardavano diritti i miei mi colpirono. C'era del vero in quello che aveva detto. Anzi, quello che aveva detto era vero. Lei, ora, mi guardava inespressiva. Poi, cangiando completamente espressione, disse - vieni andiamo a cenare. Ti ho preparato una cenetta deliziosa. Era tornata una gattina miagolante e premurosa. Mi servì a tavola come un principe, e subito dopo andammo a letto, dove facemmo l'amore appassionatamente. Con sorpresa, ma a conferma della mia intuizione, mi accorsi che anche lei si era depilata, lasciando solo una striscia di peli sul pube. Non dissi nulla, ma nel penetrarla sentii una miriade di fitte. Sembrava che il mio pene fosse diventato un portaspilli; i due sessi depilati nell'incontrarsi causavano mille piccole punture, e un diffuso "pizzicore", che accresceva l'eccitazione. Mi addormentai pensando alle sue parole. Il mattino dopo, sabato, era per noi festivo. Facemmo colazione, accendemmo una sigaretta, due carezze, due chiacchiere sul vago e sull'agenzia. Poi, Lei chiese - vuoi? Capii immediatamente cosa intendesse dire. Nonostante le mie riflessioni fatte sul treno non ebbi dubbi; forse le parole che Lei aveva detto, il suo ragionamento che sembrava così lineare mi avevano convinto che non c'era nessun pericolo. - si, risposi Sorrise e disse: - "Inizio" A quella parola mi alzai dal letto e, già nudo, mi misi in posizione. - Vai in bagno schiavo. Fai i tuoi bisogni. Cerca di non sporcare come un cane. Poi dirigiti nello stanzino e siedi a terra. Tieni però le orecchie bene aperte: fra mezz'ora suonerà questa sveglia e ti voglio in cucina in posizione. Chiaro? - Si Padrona Eseguii ed attesi il rumore della sveglia. Quando suonò mi alzai ed andai in cucina. La Padrona era vestita normalmente, con un pantacollant aderentissimo ed una maglietta. Mi misi in posizione. - ho deciso che dobbiamo "replicare" esattamente il tuo pisellino. Tu sei bravo nel bricolage ed io ho acquistato questa roba: una resina con catalizzatore, del gesso a presa rapida e qualche altro accessorio. Voglio che con il gesso prendiamo la forma del tuo pene eretto, dopodiché aspettiamo che il pene si ritiri. Nella forma cosi fatta verseremo questa resina. Quando sarà solidificata romperemo il gesso e... avremo cosi una copia esatta del tuo cazzo eretto. Sei contento? - Si Padrona. Ma dove andava a prenderle certe idee? Non le mancavano i falli artificiali, da quanto avevo visto. Cosa doveva farci con la copia del mio sesso ? Ci mettemmo, o meglio mi misi, all'opera. Preparai una scodella nella quale versai il gesso in polvere, una bottiglia d'acqua affianco, in un'altra scodella versai la resina. La Padrona aveva pensato anche all'isolante. Cioè ad un materiale che non facesse attaccare il gesso alla pelle ma, contemporaneamente non avesse spessore. La cappella sarebbe stata protetta con un preservativo, mentre l'asta ed i testicoli sarebbero stati spalmati di vaselina. Quando tutto fu pronto, mi girai verso la Padrona e dissi - è tutto pronto Padrona. Posso procedere? Lei mi guardò e vide che non ero in piena erezione. L'attenzione dei preparativi mi aveva distolto da pensieri sessuali. - no. Non puoi. Attendi. Resta in posizione. Uscì dalla cucina e la sentii accendere lo stereo. Mise una cassetta di musica brasiliana, e tornò in cucina. Il suono arrivava forte anche in cucina. Cominciò a ballare. Vedendola contorcersi non ci volle molto a sentirsi montare... la voglia. Neanche cinque minuti ed era eretto. La Padrona, che osservava con noncuranza mentre ballava, disse con un gorgoglio nella voce, metà risata e metà derisione - bene. Sei pronto. Impasta il gesso. No. prima mettiamo il preservativo sulla cappella e la vaselina sull'asta. Eseguii subito, con il risultato di vederlo più grosso e duro. - Bene. Prepara il gesso. Versai l'acqua nel gesso ed impastai con un cucchiaio. Presi delle abbondanti cucchiate e le applicai sul pene inturgidito. Molto velocemente il gesso asciugava, sviluppando del calore. Avevo una specie di grosso tubo di gesso attorno al pene che prendeva anche parte dello scroto. - Perfetto, mio bravo schiavetto. Ora dobbiamo solo attendere che si "ritiri", disse ridendo. Nell'arco di pochi minuti il gesso si era completamente solidificato, sviluppando un discreto calore ed una piccola contrazione, per cui sentivo il membro al caldo e protetto. La Padrona guardava. - benissimo, schiavetto. Ora, mentre ti rilassi, pensiamo alla resina. Guardai la scatola della resina e capii che si trattava, in effetti, di quella resina utilizzata industrialmente per produrre portachiavi trasparenti, o piccoli fermacarte, che inglobavano i più svariati oggettini: pupazzetti, fiorellini, qualsiasi cosa venisse in mente al produttore. Era trasparente, ma era possibile colorarla con della vernice alla nitro. La Padrone disse " Dunque: la resina è trasparente, ma io voglio che sia colorata di nero. Il negoziante mi ha dato questa scatola di vernice da aggiungere. Ha detto di diminuire la quantità di catalizzatore. Inoltre voglio che sia possibile che la riproduzione "schizzi" proprio come un pene. Come farai, schiavo ? " Pensai un momento e dissi - si Padrona, è possibile. Devo inserire un tubetto nella forma, prima di versare la resina. Il tubetto deve uscire dalla forma tramite un forellino, opportunamente praticato. Sulla base, praticamente al posto dei testicoli, serve una piccola pompetta. Collegherò la pompetta al tubetto. Poi verserò la resina; in questa maniera vi sarà anche un serbatoio alla base che potrà contenere del liquido. - bravo schiavo. Lo sapevo che eri capace! Cosa serve? - Padrona, serve del tubetto di plastica flessibile ed una piccola peretta in gomma. Un tubetto per l'aria utilizzata negli acquari ed una piccola peretta per clisteri andranno bene. - bene. Non ti muovere. Vado a comprare. - ed uscì. Restai solo a riflettere su quello che stavo facendo. Senza dubbio la Padrona aveva una bella fantasia. Forse non era un bene che fosse "tanto" fantasiosa. Però anche io, per natura, mi lasciavo andare a speculazioni tecniche e filosofiche, e questo suo "modus pensandi" combaciava con una parte di me. Mi meravigliavo con quanta prontezza avevo attuato il progetto della Padrona. Forse aveva ragione lei: ero bravo nel bricolage. Il ragionamento mi aveva distratto e sentii il pene rilassarsi e ritirarsi; immediatamente cercai di estrarlo dalla forma, e con qualche difficoltà, lo liberai. L'assenza di peli, che sarebbero stati inglobati nel gesso, aveva reso l'operazione possibile. Avevo una forma in gesso perfetta; vedevo le venature e le rientranze, riprodotte naturalmente contrario, perfettamente. Sentii la chiave nella serratura della porta d'ingresso e la Padrona entrò. - Splendido. Vedo che ti sei anche liberato della forma. Fai vedere. Prese con cautela la forma in mano e la guardò con attenzione; gli occhi erano brillanti e scintillanti. Sembrava una bambina con un giocattolo nuovo. - sei bravo schiavo. Procedi ora. - si, Padrona. Aveva acquistato quanto avevo chiesto. - Padrona, è meglio attendere qualche minuto che il gesso riposi, per evitare danni alla forma. - va bene, schiavo. Resta in posizione. Quando ritieni che sia il momento chiamami. Restai solo in posizione. Mi sentivo uno sciocco, lì in cucina, da solo, con davanti quell'armamentario da "piccolo scultore". Il mio membro era semi floscio; anche "lui" si stava abituando ad essere esposto, come un oggetto qualsiasi. Attesi, pensando a come procedere. Trascorse un po' di tempo. - Padrona, credo sia il momento. Lei entrò in cucina - Procedi - si Padrona. Mi serve il trapano. Posso andare a prenderlo - domandai - si schiavo, vai Andai nello stanzino e presi un piccolo trapano a batteria, vi misi una punta del diametro del tubetto, circa 5 mm, e mi apprestai a forare la forma in corrispondenza del glande. Vi inserii quindi il tubetto, che opportunamente entrava esattamente, facendolo uscire dall'altro lato. Applicai il tubetto alla piccola peretta. Tirai poi il tubetto dall'altro lato. L'effetto era che avevo questa forma in gesso con inserita nella base, al posto dei testicoli, una peretta, ed un tubicino che attraversava la stessa forma, uscendone dall'altra estremità. La Padrona osservava. Mi apprestai a miscelare a resina con la vernice nera ed il catalizzatore. Il tempo di catalizzazione era di sei ore, per cui non vi era alcuna fretta. Ora dovevo trovare un contenitore che mantenesse la forma, in posizione verticale, a "testa in giù". Trovai un accessorio del minipimer, che accoglieva perfettamente la forma in gesso. Usai qualche foglio di giornale, accartocciandolo, per fissarlo meglio in posizione. - Padrona, è pronto. Devo solo versare la resina. - bene. Esegui. - si Padrona. Lentamente versai nello stampo la resina, facendo attenzione a non far formare bolle d'aria. Era un ottimo materiale, della consistenza del miele. - credo di aver terminato Padrona. - bene. Mettiamo il contenitore in un posto riparato. Sarebbe un peccato se cadesse. Quanto tempo ci vuole per "sformarlo" - chiese - sei ore Padrona, però per prudenza attenderei otto ore. - bene. Vai nel tuo angolo in soggiorno. D'ora in poi quando dirò "a cuccia" andrai lì. Capito? - si Padrona Mi diressi verso il soggiorno e mi accucciai vicino al divano, nell'angolo accanto al termosifone, dove ero stato legato, per la prima volta in vita mia, giusto otto giorni prima. Riflettevo sulle mie inaspettate capacita "creative" quando sentii lo stimolo di urinare, per cui mi alzai e mi diressi verso il bagno. Non ero neanche entrato, che arrivò La Padrona. - che cazzo stai facendo? Chi ti ha dato il permesso di muoverti? Cosa cazzo credi? - disse con una ferocia inaspettata. - Padrona, dovevo urinare. - e allora? Attendevi di vedermi e me lo comunicavi, dopo aver avuto il permesso di parlare. Oppure, se proprio era urgentissimo osavi chiamarmi, a tuo rischio e pericolo. Mi aveva di nuovo lasciato completamente senza parole. - ringrazia che sono contenta del tuo operato di stamani. Puoi pisciare; siedi sulla tazza e piscia. - ma Padrona, non lo so fare seduto. - e con ciò? Tante cose non hai mai fatto ma dovrai imparare a fare. E' semplice. Siedi e piscia, come una donna. Spingi il pisello a testa in giù. Intanto che discutevamo, inspiegabilmente, il mio membro cominciava ad ergersi. - piccola troia che sei, ti sei anche eccitata vedo - disse la Padrona - Bene, voglio proprio vedere come pisci col cazzo duro. Nel frattempo mi ero seduto sulla tazza, prima che il membro si ergesse ancora di più, ma era già troppo tardi; era diventato duro e dritto. Tentai di urinare, ma era diventato impossibile. La Padrona, appoggiata allo stante della porta, guardava. Dopo qualche minuto si allontano e tornò con dei cubetti di ghiaccio. - non voglio stare tutta la giornata qui, stronza. Metti questi cubetti sul tuo cazzetto, così se ne torna a riposo e puoi pisciare. Eseguii l'ordine ed effettivamente potei liberarmi. - Ora, piccola troietta, seguimi. Realizzai che stava parlandomi al femminile. Cazzo. Lo aveva detto alla fine dell'altra sessione: "vuol dire che ti chiamerò schiavo o troia, cagnolino o puttana, come mi và al momento" Stava superando ogni limite. Stava superando ogni limite? No. Nei limiti che avevamo stabilito non rientrava che non potesse chiamarmi troia o zoccola. E ora cosa pensava, di farmi fare, la Padrona? La seguii e Lei si diresse in camera da letto. Aprì un cassetto del comò e prese un reggicalze e delle calze. Rovistò e prese un grembiulino bianco, un reggiseno ed una camicetta trasparente. Lei mi guardò, e notando il mio sguardo disse - piccola stronza, cosa c'è? Qualcosa non và? Non hai molte possibilità: puoi indossare questi indumenti, così diventi un po' più troia di quello che sei, rifiutarti ed essere punita finché non esegui l'ordine, oppure... puoi dire una parolina strana. Quella grandissima puttana! Era proprio vero: il "gioco" era una cosa seria. Più serio di quanto potessi sopportare? No. - si Padrona. Posso eseguire? - risposi quasi con sfida - si troietta. Credo che riuscirai ad indossarli senza spiegazioni. Mi dette gli indumenti, e mi disse di andare ad indossarli nello stanzino, poi di presentarmi in cucina. Nello stanzino armeggiai non poco prima col reggiseno, abbottonandolo davanti prima e poi girandolo. Non era il suo perché era evidentemente piccolo. Raccoglieva il mio petto formando due piccoli seni. Indossare le calze fu abbastanza semplice: lo avevo visto fare molte volte. Il reggicalze, invece, era quasi un rebus: attaccavo una clips e se ne staccava un'altra. Comunque riuscii con pazienza ad attaccare le quattro clips. Indossai la camicetta ed il grembiulino bianco. Mi sentivo estremamente infastidito da tutta quella imbracatura. Il pensiero andò istintivamente alle donne in generale: ma come facevano? Come resistevano così imbrigliate? Uscii dallo stanzino e mi recai in cucina, entrai e mi misi in posizione. - ma che bella puttanella! - grazie Padrona Mi girò attorno osservandomi. Dovette notare che ero eccitato. Non capivo bene perché lo fossi, vestito cosi. La sentii abbracciarmi da dietro, le sue mani sul mio petto, o meglio, sui miei seni, nella posizione dell'uomo che da dietro abbraccia una donna. Mi baciò sul collo. Sentivo i suoi seni premere sulle spalle, ed il suo bacino premere sui miei glutei. La sentii sussurrare, affianco al mio orecchio - troietta mia. Diventerai una vera puttana. Mi lasciò e tornò avanti. - bene troietta. Dimenticavo di dirti che, quando sei in versione femminile la posizione di riposo non è questa: devi stare sempre con le braccia dietro alla schiena ed impettita, ma le gambe debbono essere chiuse. Non sta bene neanche per una troia, come te, stare sempre a cosce aperte. Chiusi le gambe e sentii il membro duro che urtava e spingeva contro il grembiulino. - Bene, visto che sei vestita da cameriera troia, quale sei, mi servirai il pranzo a tavola. Prendi il necessario ed apparecchia nel soggiorno. Non dimenticare queste due ciotole. Mi indicò la tovaglia, i piatti e le posate già pronte, e le due ciotole nelle quali avevo mangiato. Presi il tutto ed andai ad apparecchiare. Non sapendo dove poggiare le ciotole le misi sulla tavola. Poi ci ripensai e le poggiai a terra nell'angolo. Tornai in cucina. Nel camminare il grembiulino urtava il mio membro, eccitandolo. Lei mi guardò - brava la mia zoccolella. Lo sai che le zoccole sono sempre "in calore"? Però il detto dice "come una cagna in calore". Per non sbagliare vuol dire che ti metto anche il collare. Sei zoccola e cagna, in calore. La Sua voce aveva delle vibrazioni roche, come se stesse reprimendo un orgasmo. L'osservai e vidi i suoi capezzoli inturgiditi sotto alla camicetta. Lei dovette cogliere il mio sguardo, e l'oggetto del mio sguardo, sorrise e disse - devi essere assettata, troietta mia, è da stamani che non ti faccio bere. Terminò di preparare la portata nel vassoio e disse “puoi servire” avviandosi verso il soggiorno. La seguii e la trovai seduta tavola. - Porta le tue ciotole qui, affianco a me, cagnetta. Spostai le ciotole e riempii il piatto della Padrona. - tu puoi mangiare qui, a terra, affianco a me. Riempi la tua scodella e versa dell'acqua nell'altra. Eseguito l'ordine stavo per apprestarmi a cercare di mangiare quando sentii - un momento, troietta. Non vorrai mangiare senza dimostrare la tua gratitudine per me. Si alzò e tolse il pantacollant insieme allo slip, quindi risedette. - vieni troietta, vieni sotto al tavolo e leccami la fica. Mi spostai a quattro zampe come un cane, o meglio una cagna, introfulai la testa fra le gambe della Padrona e la sentii portare in avanti il bacino. Lei strinse le gambe attorno al mio volto ed io cominciai a leccare. Era bagnata come se fosse uscita da sotto all'acqua. Non mi ero sbagliato prima, in cucina. Succhiavo e leccavo, ingoiando il suo dolce liquido. Avevo il cazzo che scoppiava, ma non osavo toccarlo. La Padrona sembrava dotata di poteri paranormali nello scoprirmi mentre facevo qualcosa non autorizzato. Il suo bacino si muoveva sulla sedia, la sua vulva si apriva sempre più. La mia lingua cercava di entrare nei suoi più intimi recessi. Le labbra afferravano la sua Clito succhiandola, come una piccola tettarella. Uno scatto del bacino mi avvertì che stava per godere. Introdussi tutta la lingua nella vulva per raccogliere il suo liquido. Leccavo freneticamente, ingoiando con ansia, cercando di asciugare bene tutto. Sentii la Sua mano prendere il collare e spostarmi da sotto al tavolo. - bravissima puttanella. Ora puoi mangiare. Lecchi la fica molto meglio quando sei vestita così. Lo ricorderò. - grazie Padrona Mi trascinai davanti alle ciotole e pranzai. Avevo avuto anche l'aperitivo, direttamente dalla Padrona; cosa potevo volere di più. Il cazzo era sempre duro e rigido, ma a quattro zampe non si vedeva. Sentivo la Padrona mangiare, e quando terminò disse - Vieni nel tuo angolino, cagna. Cammina a quattro zampe. La seguii. Lei si inginocchiò per osservarmi fra le gambe - sei sempre eccitata, cagna. Sei veramente una puttana in calore Prese i bracciali e li fissò ai polsi e quindi gli stessi al collare. - mettiti quieta, perché prima di sei ore di lì non ti muovi. - si Padrona Socchiuse le persiane, mi buttò un paio di cuscini ed un plaid, ed andò via, chiudendo la porta. Il reggiseno e le calze erano un tormento. Per non parlare del mio membro, duro come marmo o almeno così lo sentivo contro le mie cosce, non potendolo toccare. Stava facendomi subire i suoi capricci con sempre maggiore disinvoltura. Che io fossi davvero una troia? Forse il subconscio, mi venne un'idea: quando compivo qualcosa per cui potevo essere punito lei, la Padrona, era sempre prontissima ad accorgersene. Quasi che aspettasse. Si, doveva essere proprio così. Quella mattina, per esempio, Lei doveva aver immaginato che dovessi andare in bagno, dopo l'abbondante premuta d'arancia che mi aveva offerto per colazione. Era pronta, in attesa. Ed io le avevo offerto il pretesto per conciarmi così. Come commettevo un errore le davo l'opportunità di infliggermi nuove umiliazioni. "... era una specie di sfida". Umiliazioni? Si! Ma, in fondo, non mi aveva fatto subire nulla che non avesse fatto anche Lei. " ... liberarsi delle "gabbie" e dai condizionamenti" Dovevo semplicemente non commettere più mancanze per non offrirle nuove opportunità. Semplicemente? Pensieri contrastanti, comprensione e contestazione, dominazione e sottomissione, accettazione e ribellione, Uomo e Donna, erano un vortice nella mia mente. A poco a poco mi abbandonai, coprendomi con la copertina e poggiandomi sui cuscini, ad una sonnolenza agitata.
amosolodonne
00mercoledì 1 aprile 2015 18:29
Cap IV
Sdraiato scompostamente sul divano del mio soggiorno guardavo la televisione. L'afa di quel sabato pomeriggio di settembre, mi aveva indotto ad accendere il condizionatore. I miei occhi guardavano un vecchio film in bianco e nero, di quelli che vengono trasmessi, appunto, ad agosto o settembre, ma la mia mente era altrove. Erano trascorsi circa sei mesi dall'inizio dei "giochi" con quella donna, "La Padrona". Dire donna però era errato: era un diavolo, o una dea. La mia mente formava pensieri vagabondi, come mine pronte a deflagrare. Come era possibile fare solo in un afoso pomeriggio di settembre. Dopo avermi "provato" come schiavo, dopo avermi sodomizzato e femminilizzato, era passata all'addestramento vero e proprio. Doveva essere certa - la Padrona - che lo schiavo era in suo potere, coinvolto, e parte di quel cocktail di ubbidienza ed attrazione, repulsione ed orgoglio, eccitazione e frustrazione, che era così brava a preparare. Già... l'addestramento... Indossare le scarpe con il tacco, e camminarci, era stata una scena, per Lei, da ridere a crepapelle. Mi ci vollero almeno sei sessioni per imparare a camminarci. Non era stato difficile trovarle; era bastato telefonare ad una costumista, l'agenzia aveva sporadici contatti con produzioni cinematografiche, per reperire un paio di scarpe di vernice col tacco da otto cm. circa. Misura quarantadue e mezzo. Un po' grandi per una donna, ma perfette per me. Anche ancheggiare non fu una cosa semplice da imparare; le donne lo fanno istintivamente, ma per un uomo è difficile. Lei trovò comunque il modo per farmi riuscire: al centro di una corda doppia e morbida formò un cappio che fissò alla base del mio pene, facendo poi passare la corda fra le mie gambe e riportandola avanti, dove, dopo avermi fatto stringere le gambe, l’annodò all'’altezza del pube. In questo modo il mio pene era obbligato, anche se eccitato, a restare in verticale... ma non verso l’alto, bensì fra le gambe a testa in giù. Camminando a gambe strette, come una donna, la mia cappella era sollecitata dalle cosce, ed i testicoli stretti fra le gambe; mettendo poi, un piede dietro l’altro come le indossatrici, il pene tutto era massaggiato dalle mie stesse cosce, come se stessi masturbandomi. Questo “esercizio” dopo qualche giorno di punizione, senza farmi eiaculare, raggiunse presto l’obbiettivo. Istintivamente cercavo di godere, tramite il camminare in quel modo, e l’ancheggiare accentuava il “massaggio” Con il condizionamento, e controllando il pensiero, ero in grado oramai di godere quasi a comando. Oppure tenere in posizione eretta il membro per ore. Accadeva, a volte, che "lui" perdesse tensione, ed allora lo vedevo gocciolare, "uretrorrea ex libidine", quasi come se stessi urinando. Ma poi tornava eretto. La Padrona, ben preparata, non volle privarmi neanche della "mungitura". La "mungitura", alla quale mi sottopose qualche volta, era stata una esperienza molto particolare. Dopo la "mungitura" non si riesce ad avere un orgasmo. Un piccolo massaggio della prostata, dall'interno dell'ano, e vengono espulsi, attraverso l'uretra, i liquidi responsabili ; è sufficiente a rendere impossibile l'orgasmo per un po' di tempo. Pratica particolarmente umiliante. Ritaglio del T&D, dare e negare Il mio pensiero andava alle sessioni svolte, alle punizioni, a quell'unica volta che - non ho mai saputo il motivo - la Padrona era inviperita col mondo intero. Lei era come impazzita: voleva solo farmi soffrire, umiliarmi, annientarmi. Niente sesso. Solo dolore. Non fui mai tanto vicino a pronunciare la safe word. Cominciò col penetrami con la copia del mio fallo, quello fatto con la resina, bloccandolo nel mio retto. Poi la vestizione da femmina; aveva deciso che quando mi voleva "donna" era meglio nascondere il mio volto sotto un cappuccio in gomma, aderente, di quelli usati nel fethish. Ero abbigliato con una camicetta ed una corta gonnellina, sotto portavo il reggiseno, reggicalze e calze. Ai piedi le scarpe col tacco. Una parrucca castana, a taglio lungo e scalato, completava il "quadro". A volte, nel guardarmi allo specchio non mi riconoscevo. Col pretesto che non avevo portato velocemente del cognac lo versò sul glande, che mi procurò un intenso bruciore, poi frustò i miei glutei, fino a stremarmi. Intanto il mio "gemellino" era saldamente piantato nel mio retto. Invece di usare la mia saliva, come lubrificante aveva utilizzato del burro. Il burro provoca quasi immediatamente lo stimolo ad evacuare; abbinato al "gemellino" mi procurava un violento e continuo stimolo all'intestino. Passò quindi a farmi fare il "candelabro alto"; le gocce di cera tormentavano il mio glande, scorrevano lungo l'asta, scottavano lo scroto. Avevo già subito anche la cera, ma mai per così tanto tempo, mai così da vicino, mai così dolorosamente. Stranamente era più sensibile lo scroto che il glande, alla sofferenza della cera. Col pretesto che osavo muovermi applicò le clips sui capezzoli; da sopra il reggiseno, che era anche peggio. Alla pressione si aggiungeva l'attrito della stoffa, quando tirava la catenella collegata alle clips. Ero in preda la dolore. Ovunque. La sentivo pronunciare le peggiori oscenità, oltre i limiti dell'immaginabile. Prese il "morso", che mi avrebbe costretto a tenere la bocca aperta, e lo applicò. In effetti era un semplice anello di metallo incastrato sotto gli incisivi superiori ed inferiori, ma non potevo più chiudere la bocca. Chiuse il naso con una pinzetta e mi portò nel bagno. Potevo respirare solo con la bocca, obbligata a restare aperta. Fissò la catenella dei capezzoli, dopo averla passata attraverso un anello sulla sommità del cappuccio, in modo che non potessi abbassare la testa. Pisciò sulla mia faccia, centrando la mia bocca e riempiendola di urina. Volente o nolente dovevo bere. E bevvi. Il suo piscio mi lasciò la bocca salata e pizzicante. Mi portò alla cuccia, mi fece togliere il "gemellino" e mi lasciò, liberandomi dal "gioco" dopo poco. Evitai di vederla per più di una settimana. Un fatto strano era il mio comportamento che, nella vita quotidiana, era cambiato. Le persone che mi conoscevano avevano trovato che parlavo e mi muovevo con maggiore sicurezza, affrontando le discussioni con determinazione. Il mio stesso portamento lasciava trapelare quasi una sfida, senza però insolenza, senza arroganza, ma anzi, contemporaneamente, una sorta di umiltà. Poteva aver influito il "gioco"? Per quanto insensato non vi era altra spiegazione. Evidentemente le "prove" alle quali ero stato sottoposto avevano potuto potenziare il carattere. Tornavano alla mente le Sue parole "E' solo questione di equilibrio mentale, liberandosi delle "gabbie" " Poteva essere. In fondo affrontare quel "gioco" richiedeva delle doti, forse, non comuni. E se non le possedevi... "devi allarmarti se vuoi muoverti solo in auto, senza più camminare a piedi" Poteva essere rischioso perché non sai come reagirai, al "gioco". Tutto sommato, era andata bene. La Padrona mi aveva elargito però anche dei premi, se premio si può chiamare la visita alla sua amica: andammo a trovarla nella sua abitazione a Roma. Prima di uscire dalla camera dell'albergo, dove eravamo ospitati, cominciò il "gioco". Sul pianerottolo del palazzo dove abitava la sua amica, mi allacciai il collare porgendo il guinzaglio alla Padrona. Eravamo all'ultimo piano di un palazzo signorile, in uno dei Colli Romani. Venne ad aprire una donna completamente nuda; era evidentemente una schiava. Una ragazza più o meno trentenne, di pelle bruna, capelli neri come il carbone, due occhi grandi, scuri e profondi come un pozzo. Un corpo sinuoso e proporzionato. Due seni piccoli e sodi si ergevano sul suo torace. Poteva essere una eurasiatica. Solo una sottile striscia di peli al centro del pube sul corpo completamente depilato. Aperta la porta si ritrasse e si inginocchiò, portando le mani all’altezza dei seni e lasciandole a palme in su. La Padrona entrò ed io la seguii. Nell’ampio ingresso mi guardai attorno, scorgendo, su una consolle in stile, tre frustini affiancati a tre collari con relativo guinzaglio. La Padrona si tolse il soprabito lasciandolo cadere sulle mani della schiava, la quale si alzò per andare a riporlo in un guardaroba a muro, tornando poi al suo posto in ginocchio. La Padrona si diresse poi verso la porta che conduceva in un ampio salone che si intravedeva, quando ebbe un ripensamento e mi disse: - Spogliati. La guardai interdetto. Non era la prima volta che "giocavamo" fuori dalle mura domestiche, ma era la prima volta, invece, che altre persone erano presenti. Non mi aspettavo un ordine cosi ... precipitoso. Lei intuì e spazientita ripeté sibilando fra i denti l’ordine di spogliarmi. Imbarazzato cominciai a spogliarmi, guardando dove potessi poggiare gli indumenti. La schiava porse una mano ed io vi poggiai gli indumenti. La schiava, man mano che li riceveva li piegava con cura, facendone una pila che poggiava su un tavolino. Terminato di spogliarmi completamente restai in attesa, mentre la schiava andava a riporre gli indumenti in una specie di ampio mobile in legno scuro, incassato in una rientranza del muro, composto da parecchi riquadri. - seguimi, cane – sentii dire dalla Padrona. Mi inginocchiai a quattro zampe e la seguii; nel mentre entravamo nel salone l’amica della Padrona, una Mistress saffica, ci venne incontro, dando il benvenuto ed abbracciando la Padrona, la quale mi ordinò di chiamarla Mylady. Mylady, era vestita con un abito nero lungo, con due spacchi laterali che partivano da metà coscia. Lunghi capelli neri le scendevano sulle spalle, incorniciando un viso abbronzato. Un naso proporzionato dal profilo greco soprastava a due labbra sottili; gli occhi neri erano ermetici e privi di emozioni. Ai piedi eleganti sandali. Molto magra, aveva due piccoli seni, mi parve, senza reggiseno. Una bella donna, che, si intuiva dovesse essere più vicino ai cinquanta che ai quaranta anni. Milady e la Padrona si diressero verso le ampie e comode poltrone, sedendosi. Io seguii la Padrona, sempre a quattro zampe, e mi accucciai a fianco della poltrona. La schiava, che intanto era entrata nel salone, era inginocchiata affianco alla poltrona di Milady ed armeggiava con uno strano oggetto: una scatola quadrata di circa 25 cm per lato e dalla quale, sul lato superiore, spuntava una bacchetta nera di circa 15cm con in cima una pallina. Sembrava un “pendolo” al contrario. Dalla scatola uscivano due cavetti: uno era collegato ad una scatolina con alcune manopole ed un altro aveva alla fine uno spinotto elettrico. La schiava disse: - devo continuare, Milady? - Certo troia. La schiava prese il cordoncino elettrico che partiva dalla scatola ed allargando le gambe lo collego ad uno spinotto che, sembrava, le uscisse dalla fica. Poi si curvò in avanti, sollevando bene i glutei e avvicino la bocca alla pallina, cominciando a colpirla con la lingua. In effetti la bacchetta con la pallina, colpita dalla lingua, ondeggiava avanti ed indietro, come un minuscolo pungiball, quello che usano i pugili per allenarsi. Alzai lo sguardo e vidi la Padrona osservare attentamente. Evidentemente non conosceva quello strano attrezzo. Milady si accorse della curiosità della Padrona e disse: - Cara, come sai le schiave, e gli schiavi, hanno la lingua lunga… ma non la usano mai a dovere! E tu sai quanto mi piace che sia usata bene! Questo apparecchio è tutto frutto della mia mente! Interamente progettato da me, e fatto realizzare. Come vedi serve ad allenare la lingua degli slave… ma non solo. Funziona cosi: la slave deve colpire ritmicamente la pallina – il ritmo si può regolare da questo telecomando – in modo che oscilli. Se il colpo non è abbastanza forte o non è ben cadenzato scatta la punizione: attraverso quel cavetto parte una scarica elettrica, della durata e dell’intensità regolata sempre attraverso questo telecomando, che colpisce la schiava attraverso gli elettrodi che porta; nel caso di questa troia glieli li ho fissati sulla Clito attraverso quella pinzetta che gliela stringe. In questo momento è regolato in modo che debba dare 30 colpi di lingua al minuto ed una scarica punitiva che dura finché non premo il pulsante verde. Ora capivo perché mi sembrasse che soffrisse nel camminare, anche se aveva un sorriso abbozzato sulle labbra. Aveva una pinza che le stringeva la Clito! Alzai lo sguardo e vidi la Padrona sorridere. La schiava intanto continuava a colpire a pallina quando emise un gemito soffocato. Evidentemente aveva ricevuto una scarica. Milady attese qualche secondo poi premette il pulsante verde. Milady guardò la Padrona e le chiese, indicando me: - vuoi farlo provare a lui? Un sorriso si allargò sulle labbra della Padrona - si – rispose guardandomi. Milady si alzò e si diresse verso una cassettiera. Aprì un cassetto e prese un duplicato di quell’apparecchio. Poi tornò a sedersi e disse: - vieni qui. Alzati schiavo. Mi mossi verso Milady e mi alzai, restando in posizione di attesa. Lei prese un cappuccio di gomma nel quale adagiò un batuffolo di ovatta; poi da una boccetta verso' del liquido sull’ovatta. Con decisione ma delicatamente prese in mano il mio pene e scoprì il glande. Appoggiandovi sopra il cappuccio di gomma che lo ricoprì perfettamente, incastrandosi sotto al bordo. Ovviamente ad uno schiavo il catodo va applicato sul glande. Come vedi questo cappuccio in gomma si adatta al glande e farà da collegamento – disse rivolta alla Padrona – mentre per l’anodo useremo questo – continuò prendendo una specie di piccolo birillo in ottone. - Girati – mi ordinò Mi girai e sentii penetrare nel mio ano quel piccolo birillo. Giustamente… ano-do! Poi Milady collegò i cavetti che partivano dal cappuccio e dal birillo dall’apparecchio, porgendo alla Padrona il telecomando e posando a terra la scatola con il “pendolo”. - ti consiglio di non esagerare con il tempo e l’intensità delle scariche – disse Milady alla Padrona – regola la manopola rossa su tre e la viola su due; con questa regolazione dovrà colpire la pallina venti volte al minuto, e la scarica sarà dolorosa ma sopportabile. Quando vuoi fallo iniziare a colpire la pallina premi il pulsante rosso che attiva il tutto – concluse. La Padrona eseguì le istruzioni e disse: - comincia, schiavo. Guardai la Padrona e mi accorsi che doveva essere molto eccitata, all’idea di usare quel nuovo giocatolo. Mi rimisi a quattro zampe ed abbassai la testa verso il “pendolo”, cominciando a colpire la pallina. La Padrona premette il pulsante rosso. Dopo pochi colpi sentii mille piccole punture sul glande. Un gemito mi usci dalla gola. La Padrona mi guardava. Le punture continuavano e si intensificavano: ora era come un elastico stretto attorno al glande che stringeva sempre più. Emisi un gemito più forte. La Padrona premette il pulsante verde ed il tormento cessò. - Devi stare più attento. La prossima volta sarà più doloroso – disse la Padrona – mentre aumentava di uno scatto la manopola viola. Ricominciai a colpire la pallina. Pensai di regolare il ritmo contando fino a tre e di colpire: sessanta secondi diviso tre dava venti. Forse sarei stato più regolare nel colpire la pallina. Ora non avevo più tempo per osservare la schiava o per guardare Milady; quell’apparecchio assorbiva tutta la mia attenzione: uno due tre: lingua. uno due tre: lingua. uno due tre: lingua. ... ... Passò del tempo, e cominciavo a sentire la lingua indolenzita. Non sarei riuscito a mantenere il ritmo con precisione per molto ancora; infatti dopo poco senti le scarica sul pene. Un muggito usci dalla mia bocca, e si trasformo in un urlo. Alzai lo sguardo verso la Padrona. Milady disse: - bhè, come prima volta è andato abbastanza bene: ha mantenuto il ritmo per quasi quattro minuti. - si. Ma dovrà imparare a tenerlo a lungo, molto a lungo. Voglio farmelo costruire anche io. - permettimi, cara, di fartene dono. Ne ho fatto costruire parecchi esemplari: immaginavo che sarebbe piaciuto a molte. - grazie. Sei sempre così deliziosa - rispose la Padrona. Si alzarono, ordinando a me ed alla schiava, che intanto aveva terminato il suo “esercizio” di restare accucciati affianco alle poltrone, ed uscirono dal salone. Restai in ginocchio, seduto sui talloni e poggiai le mani a terra. Guardai la schiava: timidamente cercava di massaggiarsi fra le gambe, oramai libere dalla pinzetta-elettrodo. Anche lei, di sottecchi mi guardava. Trascorse un po’ di tempo e Milady e la Padrona tornarono: si erano cambiate d’abito. Indossavano degli stivali a mezza coscia, un corpetto e degli slip in pelle. Nelle mani stringevano un corto frustino. Senza una parola si avvicinarono a noi. La padrona prese il guinzaglio della schiava e Milady prese il mio. Ci condussero nel dungeon: una perfetta imitazione di quello che potevano essere le segrete di un castello; non vi erano finestre e delle fiaccole ed alcune lampade nascoste emanavano una luce spettrale. Milady mi legò i polsi e le caviglie ad una incastellatura – che era montata su una piattaforma con delle rotelle - e mi applicò una gall-bag oltre alle onnipresenti mollette ai capezzoli. Non potevo muovermi e non potevo vedere la schiava e la Padrona. Davanti a me, fissata sulla incastellatura vi era uno strano meccanismo: una grossa candela era fissata ad un supporto, a sua volta fissato al meccanismo di un pantografo. La base sulla quale era fissata la candela poteva muoversi in avanti, tramite un meccanismo di ruote dentate e binari e con due braccetti che si allungavano nella mia direzione. Vidi Milady portarsi alle mie spalle ... e dopo qualche secondo sentii un colpo di frusta sui glutei. Cominciò a frustarmi, ma non come qualche volta la aveva fatto la Padrona; questi colpi di frusta erano dati per fare male. Certo... a Milady piacevano le donne... Continuò a frustarmi, mentre sentivo il dolore salire lungo le spalle. Attraverso la gall-bag cominciavo ed emettere mugolii di dolore. Tentavo, sentendo arrivare il colpo di portare il bacino in avanti, per attenuare il colpo. Milady interruppe la fustigazione e si porto davanti a me. Senza una parola mi allacciò una cintura attorno al bacino, fissandola con altri lacci che passavano fra le gambe e risalivano sull’esterno dei glutei. Poi prese i braccetti che partivano dal supporto della candela e li fisso alla cintura. Regolò il meccanismo a pantografo e con il manico della frusta spinse in avanti il mio bacino. Vidi scattare verso di me il supporto della candela che, mentre si avvicinava si inclinava in avanti, verso il mio pene. Regolò ulteriormente il meccanismo e capii a cosa serviva. Se avessi mosso il bacino, sotto i colpi di frusta, la candela accesa sarebbe avanzata, versando cera bollente sul mio pene. Rabbrividii e cercai di parlare ma uscii solo un gemito soffocato. Poi, Milady fece rotare l’incastellatura in modo che potessi vedere la schiava e la Padrona. schiavaOra vedevo la schiava di Milady bloccata sulla croce, che era basculante, fissata in posizione orizzontale. La Padrona le aveva introdotto falli vibranti sia nella vagina che nell'ano. Avrei saputo dopo dalla Padrona, cosa stava subendo la schiava: aveva quei falli che - collegati al “telecomando elettrico” – rilevavano l’umidità della vagina, e quando questa superava un certo limite i falli diventavano elettrodi, emettendo una scarica elettrica. In effetti le vibrazioni la eccitavano, ma quando la vagina si inumidiva per l’eccitazione avvenivano scariche elettriche che bloccavano l’orgasmo. Sentivo la schiava gemere, ed il gemito trasformarsi in un grido, e supplicare. La vedevo contorcersi sotto la scarica elettrica, e abbandonarsi stremata in attesa di ricominciare il ciclo. Vedere la schiava così conciata mi eccitò in un istante. Milady accese la candela e si riportò alle mie spalle. Sentii il colpo sui glutei doloranti, ed istintivamente portai il bacino in avanti. Troppo tardi ricordai della candela, che, avvicinandosi ed inclinandosi, lascio cadere la cera sul mio glande. Le mie orecchie sentirono un urlo soffocato uscire dalla mia bocca. Riportai indietro il bacino, allontanando la candela dal pene ma portando i glutei incontro alla frustata che stava arrivando. I colpi continuarono ad arrivare, mentre i miei occhi si offuscavano di lacrime di dolore. Cercai di restare immobile, ma più di una volta sentii la cera che colpiva il mio pene e il pube, sempre in posti diversi, finché, quasi sul punto di svenire, Milady interruppe la fustigazione. Milady prese da un tavolo un pennello ed una scatola di crema, e torno dietro di me. Sentii sui glutei doloranti il passaggio del pennello, intriso di crema, che mi diede un sollievo e rinfresco; doveva essere una crema anestetizzante. Il dolore sarebbe riapparso il giorno dopo, e sarebbe durato parecchi giorni. Mi slegò e prendendomi per il guinzaglio si diresse verso un piccolo trono rialzato su una pedana; si sedette e tirò il guinzaglio in direzione dei suoi piedi. Mi accoccolai ai piedi della pedana e Milady, accavallando le gambe, porse alla mia bocca il suo piede destro. Cominciai a leccarlo. Intanto la Padrona continuava il suo gioco con la schiava, che supplicava e gemeva, finche non la sentii supplicare di frustarla. La Padrona rimosse i dildi e slegò la schiava, facendola sdraiare a pancia sotto prima di legarla nuovamente alla croce. Poi si avvicino ad un carrellino su ruote – sul quale vi era una scatola con un dildo fissato in posizione orizzontale - e l’avvicino all’apertura della croce in corrispondenza della fica della schiava. Prese una frusta e la collegò alla scatola. Mosse la frusta ed il dildo avanzò di qualche centimetro. La mosse nuovamente ed il dildo si mosse anch’esso. La Padrona mi avrebbe spiegato poi che la frusta aveva dei contatti che azionavano per un tempo limitato il motore collegato al dildo; in effetti se si voleva far muovere il dildo si doveva muovere la frusta. La Padrona avvicinò il carrellino in modo che il dildo si poggiasse sulle grandi labbra della schiava, e comincio a colpire la schiena ed i glutei della schiava. Il dildo cominciò a muoversi, entrando ed uscendo dalla fica della schiava, che gemeva ma implorava altri colpi. Milady osservava dondolando il piede che io continuavo ad inseguire con la lingua. La Padrona frustava con maggiore velocità, esaudendo il desiderio della schiava di sentire il dildo muoversi dentro di lei. La Padrona mi avrebbe poi spiegato che Milady aveva fatto in modo che la schiava fosse stata eccitata, ma senza raggiungere nessun orgasmo da parecchi giorni. Era una scena irreale: la schiava che – oramai disposta a tutto pur di avere un orgasmo - implorava di essere colpita sempre più forte e sempre più velocemente, finché la sentii gridare un forte e prolungato “si”. Poco dopo la Padrona liberò la schiava e la spennellò, sulle spalle e sui glutei, con quella stessa crema che Milady aveva applicato a me. Milady liberò la mia bocca dalle dita dei del suo piede e si alzò, dirigendosi verso la mia Padrona le parlò a bassa voce. La Padrona mi guardò, ed ordinandomi di lavarmi e di recarmi poi nel salone, uscii dalla stanza con Milady. La schiava, ancora stesa ed esausta, si sollevò con evidente sforzo, sedendosi sulla croce; mi guardò, ed alzandosi disse ”vieni con me”. Si incammino verso la porta e la seguii. Uscimmo dal dungeon ed imboccammo il lungo corridoio, nudi ed a piedi scalzi. La guardavo camminare davanti a me: il corpo flessuoso, i glutei alti e sodi. Aveva ancora i segni delle frustate e, passando avanti a balconi protetti dalle tende, il sole quasi al tramonto rendeva la sua pelle ancora piu' dorata. Entrammo in una ampia camera arredata con delle poltroncine e degli specchi alle pareti. Sulla sinistra tre porte. La schiava, dirigendosi verso una di esse, disse con un sorriso mesto “ Questi sono i bagni, fai con calma; non c’è fretta” Aprì la porta richiudendola dietro di se. Mi diressi verso la porta adiacente ed entrai. Un piccolo ma elegante bagno con il lavandino e la tazza a sinistra ed uno specchio a parete a destra; in fondo una cabina doccia faceva bella mostra di se. Mi guardai allo specchio chiedendomi dove fosse ora la Padrona, poi capii. ... ma chi delle due sarebbe stata sub e chi Dom? Cosa avrei dato per vederle ora, per spiarle di nascosto. Entrai nella cabina doccia e, presa confidenza con i comandi, mi godetti l’idromassaggio caldo. Una lieve sonnolenza si era stava impossessando di me. Uscii e mi asciugai con un grande e morbido telo di pugna. Presi un telo più piccolo e avvoltolo attorno alla vita tornai nell’antibagno, sedendomi su una delle poltroncine. Poco dopo entrò la schiava; anche lei aveva un telo che la copriva dal seno in giù. In mano aveva un barattolo di crema. Si avvicinò a me e disse - la doccia ha tolto la crema. Me ne spalmi un poco per favore? Senza attendere che rispondessi mi porse il barattolo, togliendosi il telo e porgendomi le spalle. Aprii il barattolo e con l’indice ed il medio raccolsi un poco di crema, cominciando a stenderlo, con delicatezza, sulle sue spalle. I segni si erano mimetizzati con il rossore dovuto all’acqua calda. Ogni tanto un gemito mi avvertiva che dovevo essere passato su qualche frustata particolarmente forte. Sentivo la sua pelle sotto alle dita morbida e soda. Aprii la mano per applicare meglio la crema e scesi sui glutei. Mi accorsi che mi stavo eccitando. Sentivo il mio pene gonfiarsi sotto al telo. Per fortuna era di spalle e lei non poteva accorgersi di quanto stava accadendo. Terminai velocemente di stendere la crema e ritrassi la mano per segnalarle che avevo terminato. - Grazie – disse, e continuò – Se vuoi, posso stendertene anche a te. Ringraziai e risposi che io l’avevo tenuta per più tempo e che stavo bene così. Lei mi guardò e, avviandosi verso il corridoio disse - Se vuoi, riposa un pò. Non c’è fretta. Ci vuole tempo. Restai solo. Mi sistemai meglio sulla poltroncina e chiusi gli occhi. La sonnolenza, forse anche indotta dalla crema, prese il sopravento. Mi addormentai subito. Una mano mi stava delicatamente scotendo la spalla. Aprii gli occhi e vidi il pube della schiava; alzai gli occhi e lei disse “Svegliati. Dobbiamo andare” Mi alzai, stropicciandomi gli occhi. Presi il collare poggiato su un tavolino e me lo allacciai al collo. Guardai lei e vidi che lo aveva già indossato. Mi guardai intorno per capire quanto tempo era passato, ma non vi era alcun orologio. Guardai fuori dal balcone. E vidi che il sole era tramontato, ma da quanto tempo non avrei saputo dirlo. La schiava si avviò verso la porta ed io la seguii. Ora camminava con passi piccoli e decisi. Il pudore di poco prima era scomparso. Eravamo di nuovo nudi ed a piedi scalzi: stavamo andando dalle nostre Padrone. Da quelle che avevano diritto di usarci come meglio credevano, come e dove volevano. Da quelle alle quali solo vietato mutilarci o ucciderci. Cosa c’era nella mente, mia e di quella donna che camminava avanti a me, che ci spingeva a farci usare così? Quale meccanismo psicologico perverso albergava nelle nostre menti? Arrivammo ad una porta che dava nel salone, ma invece di entrare la schiava aprì la porta che si trovava di fronte. Si inginocchiò e camminando carponi entro. La imitai ed entrai in quella che doveva essere la sala da pranzo. Finemente arredata, al centro un tavolo di legno rettangolare per sei o otto persone; solo i due capotavola erano apparecchiati. La schiava, sempre a quattro zampe come me, si diresse verso uno dei posti apparecchiati e si mise alla destra della sedia. La imitai nuovamente raggiungendo l’altra sedia e vidi davanti a me una ampia scodella di ceramica vuota affianco ad una scodella un pò più piccola piena di un liquido che sembrava succo di frutta. Mi accoccolai sulle cosce ed allungai le braccia avanti a me poggiando, fra le gambe le mani aperte sul pavimento, nella posizione di “cane” in attesa che tanto piaceva alla mia Padrona. Attraverso le gambe del tavolo vidi che la schiava mi imitava. Sentivo il suo sguardo che furtivamente mi osservava. Passo qualche minuto e le Signore e Padrone entrarono. Sembravano due amiche che parlavano del più e del meno, come in qualsiasi casa normale. Senza degnarci di uno sguardo avanzavano verso la tavola. Avevano il volto rilassato e luminoso. La Padrona si sedette affianco a me mentre Milady prendeva posto all’altra estremità del tavolo. La mano della Padrona carezzò la mia testa e la spinse verso la ciotola con il liquido. Lappai con prudenza e sentii un piacevole sapore di pesca, leggermente alcolico e speziato. Avvicinai la bocca ed aspirai lunghe sorsate di quel liquido gradevole e saporito. La Padrona torno a carezzare la mia testa, passando poi la mano sulla bocca, che mi affrettai a baciare e leccare; era fresca profumata. La sentii ridere, mentre parlava con Milady di vecchi amici e del loro destino. La porta della camera si aprì e comparve una cameriera. Non mi aspettavo quest’altra presenza. Era una giovane donna, abbigliata con una camicetta azzurra ed una minigonna nera. Indossava un grembiulino bianco e, sui capelli a caschetto, una crestina pure essa bianca. Spingeva un carrello di servizio. Senza neanche guardarci, la cameriera si portò dall’altro lato della sedia e servì la mia Padrona, per proseguire a servire Milady. Mentre passava alle mie spalle, per andare da Milady, osservai dal basso le sue lunghe e ben tornite gambe, inguainate nelle calze nere, che terminavano con uno slip bianco. Quella casa sembrava un piccolo albergo, più che una casa. Milady doveva possedere parecchio danaro per potersi permettere quello che avevo visto. Cominciarono a cenare, e la Padrona lascio cadere nella mia ciotola un pezzo di crostaceo, che mi affrettai a spolpare, e qualche frutto di mare. Non mi ero reso conto di avere una gran fame. Ogni tanto vedevo cadere qualcosa, un crostino, un pesce, della frutta. La cena continuava, mentre ogni tanto spiavo la schiava, che come me riceveva nella scodella del cibo. Terminai di bere dalla scodella il succo di frutta, e rimpiansi che era terminato. Poi, sentii Milady propose alla Padrona di farmi accoppiare con la sua schiava. Come una coppia di cani. Si alzarono e si avviarono verso il salone. Io e la schiava, carponi, le seguimmo. Loro si sistemarono sulle poltrone e agganciarono ai nostri collari un lungo guinzaglio; poi, per non permetterci di usare le mani, ci fecero indossare dei guanti senza dita che furono legati ai polsi per non farli togliere. Ci guardarono e Milady disse - forza cagnolini, ora che vi siete annusati, accoppiatevi. Ma non permettetevi di raggiungere l'orgasmo senza il nostro permesso. Poi, la Padrona mi diede una spinta sulle natiche, spingendomi verso il centro del salone, mentre lo stesso faceva Milady con la schiava. Mi mossi verso il tappeto, quasi fosse un ring, ma cercando di far capire alla schiava che non volevo essere aggressivo. Lei, avvicinandosi sembro capire, e si sdraiò mostrando la gola, proprio come avrebbe fatto una cagna che volesse “arrendersi”, o mostrare fiducia, ad un altro cane. Mi avvicina ancora a lei e le leccai il collo. Lei lascio fare poi si alzò, sempre carponi, e comincio a cercare la mia bocca. Anche i cani si baciano. Sentii la sua lingua cercare sulla mie labbra, entrare nella bocca a cercare la mia lingua. In quella posizione, carponi, uno di fronte all’altra, dovemmo piegare la testa per baciarci. Sentivo il mio membro crescere. Leccai di nuovo il suo collo e poi mi portai alle sue spalle, allungando la lingua verso la sua fica. Vista da vicino potei notare quanti doveva essere stata “torturata” da una miriade di segni e piccoli lividi. La leccai delicatamente, udendo dei gemiti di piacere. La Padrona e Milady, a turno, ci ordinavano si allontanarci l'uno dall'altra, in modo da prolungare "l'accoppiamento". Fra un cognac ed un cioccolatino, ci osservavano. Quando, finalmente, avemmo il permesso di terminare, la penetrai di spalle e lei, passando la sua gamba sotto alla mia, avvicino le sue due cosce, imprigionando e stringendo il mio pene che penetrava. Ci abbandonammo entrambi stremati sul tappeto, sfiniti dal lunghissimo amplesso. Fu indimenticabile. In ogni senso. Non le rividi mai più, ne l'una, ne l'altra. Dopo quell'esperienza credevo di essere oramai uno schiavo completo, ma non era così; La Padrona non aveva ancora terminato l'addestramento ...
amosolodonne
00mercoledì 8 aprile 2015 13:21
Cap V
Mi alzai per prendere una birra dal frigorifero e, tornato sul divano, ripresi i miei pensieri vagabondi, come era possibile fare solo in un caldo pomeriggio di settembre, quando, al ritorno delle vacanze, tutto deve riprendere. Ma non proprio tutto sarebbe ripreso. ... Quando incontrai quella che sarebbe diventata la Padrona, ella si era appena separata dal marito. Un uomo d'affari, di cui non si è mai avuta una miglior definizione, che si spostava continuamente per l'Italia, secondo le esigenze. Per quello che potei capire i suoi spostamenti erano legati alle condizioni politiche del momento. Probabilmente concludeva affari ed appalti, tramite conoscenze. Aveva qualche anno più della moglie ed era dotato di un carisma particolare. Abbronzato, capelli e barba corta erano venati di grigio, gli occhi possedevano un forte magnetismo. Non solo gli occhi emanavano carisma: tutta la sua persona era carica di una energia che attraeva ma, contemporaneamente, non permetteva familiarità. Non altissimo era sempre estremamente elegante, indossando indumenti ed accessori raffinati e ricercati. L'avevo intravisto prima dell'inizio della mia relazione con la moglie; lui era in compagnia di una bellissima bionda, piccolina ma perfettamente proporzionata, che presentava come la sua segretaria. Lo conobbi meglio verso la metà di giugno. Il rapporto con la Padrona continuava "tranquillamente" anche se avevamo diradato, per motivi lavorativi di Lei, gli incontri. Era qualche settimana che frequentavo anche altre donne, e con una c'ero anche andato a letto. Con il mio sesso depilato dovetti inventarmi che ero un cultore della civiltà Egiziana, e, come tutti sanno, gli egiziani si radevano completamente due volte l'anno. Non glielo avevo detto espressamente - alla Padrona - ma qualche cosa avevo accennato. D'altro canto il nostro rapporto era stato impostato, sin dall'inizio, senza espressi e reciproci vincoli. Il campanello della porta trillò ed andai ad aprire. Inaspettatamente vidi Lei sulla soglia. Un volto triste e due occhi lucidi mi guardarono. Seduti sul divano mi comunicò che sarebbe tornata a vivere col marito. La guardai e solo allora mi accorsi veramente di quanto fosse bella e sensuale. I capelli corvini, con dei strani boccolinaturali, contrastavano con ilsuo viso regolare, dalla pelle diafana. Gli occhi, del colore del mare in tempesta, di una bellezza rara, sottostavano a delle sopracciglia con un perenne piccolo cipiglio che rendeva il suo sguardo un po' capriccioso. Il naso proporzionato aveva un profilo greco e la bocca non era eccessivamente carnosa ma disegnata dalla Natura con stile ed eleganza. Alta poco meno di me aveva un seno compatto e con piccoli capezzoli all'insù. La vita sottile contornava un ventre liscio e piatto. I fianchi corposi, senza essere grandi, precedevano due gambe lunghe e tornite che terminavano con delle caviglie sottili. La sua pelle emanava un odore più dolce e stordente del solito. Con lo sguardo impenetrabile mi abbracciò e mi disse che era venuta a fare l'amore. Per l'ultima volta. Quel pomeriggio ci amammo, senza sessioni o giochi. Ormai conoscevo i suoi gusti e mi donavo a Lei con tutto me stesso, e lei ricambiava con una dolcezza impareggiabile, con impèto, precedendomi nel dare, senza chiedere, se stessa. Il rapporto che avevo avuto qualche sera prima con "l'altra" era paragonabile come si può paragonare una pioggerellina d'aprile ad una tempesta tropicale. Ricordavo esattamente le parole che seguirono: - non ti dimenticherò. Sei stato impareggiabile, ma io devo tornare con mio marito. Abbiamo avuto una sbandata, ma non possiamo divorziare. Per molti motivi. - come posso stare senza di te? Non puoi lasciarmi ora. Ora che abbiamo raggiunto una intesa perfetta. - così deve essere. Non possiamo vederci mai più. Non ingannerei nessuno, e mai che mai, mio marito. Mi mancherai. - con chi sarò lo schiavo ubbidiente che hai addestrato? - troverai un'altra Padrona. Forse sarà difficile, ma la troverai. Io non potrò essere mai più la tua Padrona. Mi guardava malinconicamente, i suoi occhi erano appannati, lo sguardo era, ora, perso nel vuoto. Poi, uno scintillio nei suoi occhi. - una soluzione potrebbe esserci - cosa vuoi dire - diventa il nostro schiavo. Nostro, mio e di mio marito. Non si smentiva. Era una sua "missione" lasciarmi senza parole, levarmi la capacità di articolare un pensiero coerente e logico. - si. Se vuoi, se capisci cosa vuol dire, potresti diventare lo schiavo di entrambi. Potresti continuare a vedermi. Ma solo a vedermi, perché come nostro schiavo le cose cambierebbero. Devi saperlo e, se lo vuoi, accettarlo. La conosci la regola sovrana "SSC". Aveva pronunciato quelle frasi rapidamente, tutte in un fiato. - vuoi pensarci? La sua domanda mi riportò indietro nel tempo, a quando aveva detto "allora, visto che ti piace il sm... che ne pensi di diventare il mio schiavo?" Come allora ripetei - ma ... - si hai ragione, ti spiego: anche mio marito è un cultore del BDSM. E' stato lui ad introdurmi in questi giochi. No... non ci siamo lasciati per gelosia o per infedeltà. Ci siamo lasciati per motivi squisitamente economici, di affari. Non potevo sopportare che, anche grazie a me, dovessi vederlo arricchire senza precauzioni per il mio futuro.Per questo ero giunta alla conclusione di separarci. Oggi posso "ricominciare" domani chissà. Ma lui ci ha ripensato, ed ora è tutto sistemato. Comunque, se tu decidessi di accettare, saresti in nostro schiavo. Non avrai mai più rapporti sessuali con me come donna, dovresti accettare anche lui come Padrone e diventeresti quasi un 24/7. Lo sai cos'è un 24/7: condizione di schiavo sempre, in nostra presenza. Senza inizio e fine sessione. Solo così puoi continuare a vedermi. La guardavo, ed il suo sguardo mi teneva inchiodato ed incapace di rispondere. Lei continuò - devi sapere e pensarci bene. Essere lo schiavo di una coppia è ben diverso dall'avere una Padrona.In una coppia Dominante uno schiavo è veramente solo un oggetto. Entrambi possono usarti come, dove e meglio credono. Tu sei uno schiavo addestrato. Sai a quali fantasie e a quali esperienze puoi essere sottoposto. Con una coppia il "gioco" è più duro, anche se, ovviamente, puoi sempre usare la safeword. E ti ripeto: non avrai mai più rapporti sessuali con me come donna. Ma non voglio influenzarti. Vado un momento in bagno. Si alzò ed uscì dalla camera. Chiusi gli occhi. La stanza ruotava attorno me e sentivo le mani gonfie, che non riuscivo ad articolare. Non capivo: voleva convincermi o dissuadermi? Sapevo solo che l'avevo persa. Come donna certamente. Come Padrona forse, non ancora. Anzi, acquistavo un Padrone. Un uomo che mi avrebbe usato, come mi usava La Padrona; solo l'idea era ripugnante. Ma anche non vedere mai più "La Mia Padrona" era un pensiero intollerabile. Lei rientrò in camera e subito si accorse che dovevo avere avuto un malore. Sedette vicino a me e mi accarezzò. La guardai ed i miei occhi la vedevano avvolta dalla nebbia, le mani, indipendenti dalla mia volontà, si rifiutavano di muoversi. "Si Padrona" tentati di pronunciare, ma emisi solo un gorgoglio indistinto.
amosolodonne
00mercoledì 8 aprile 2015 13:22
Cap VI
Mi stavo recando da Loro, nella suite dell'albergo dove lei si era trasferita tornando dal marito. Avevo deciso che non potevo rinunciare, almeno, a vederla; dovevo tentare: avrei "giocato" con entrambi, con una nuova regola: 24/7. Questo, un po' impropriamente, significava che ogni volta che ero in loro presenza era in atto una sessione, senza più dichiararne l'apertura e la chiusura. Lei aveva insistito molto sulla mia consapevolezza di cosa significasse avere un Padrone, cercando di farmi capire fino in fondo la differenza fra una Mistress ed un Master. Fra i miei, pochi, "diritti" era stato aggiunta la possibilità di rifiutare, senza punizioni, di essere ceduto, o usato, ad altri Padroni o ospiti. Solo la Padrona e Il Padrone avevano il diritto di usarmi. Anche Lui era stato molto minuzioso e, prima di accettarmi, si era voluto sincerare che fossi consapevole, e totalmente consensuale. La famosa "C" di SSC. Il rapporto di fiducia fra schiavi e Padroni era minimizzato in genere, ma Loro, invece, volevano che fosse un elemento fondamentale. Non vi poteva essere vero BDSM senza la fiducia dello slave. Il taxi si fermò; pagai e scesi. Entrai nell'albergo e mi diressi agli ascensori. Mentre l'ascensore saliva mi accorsi di quanto fossi inquieto. Uscii dall'ascensore e bussai alla porta. La porta si aprì e vidi la Padrona. Indossava una lunga vestaglia di seta nera. Senza parlare si spostò di lato, invitandomi tacitamente ad entrare. La guardai ed entrai. Lei chiuse la porta, mi passò avanti e si diresse nel salottino. La seguii in silenzio. Lui era seduto su una poltrona. Indossava anch'egli una vestaglia lunga e nera. Aveva un bicchiere in mano ed un sigaro fra le dita. Affianco alla poltrona un tavolino con un corto frustino. Lei si diresse verso l'altra poltroncina, dove si sedette. Ero al centro della stanza, senza sapere cosa fare o dire. Il tempo trascorreva senza che accadesse nulla; mi sembrava un'eternità ma dovevano essere trascorsi solo una manciata di secondi. Portai le mani dietro alla schiena e subito sentii la Padrona dire - Bene, schiavo. Tra poco comincia la sessione, che, come sai, non sarà mai più interrotta. In nostra presenza sei uno schiavo. Stabiliamo anche dei segni convenzionali per indicarti i nostri ordini: la mano destra vorrà significare: indice teso "spogliati" pugno in alto "in posizione" con palma all'ingiù' "a quattro zampe" con palma all'insù "alzati" dita aperte "rimani fermo" pugno in basso "puoi vestirti" Osserva sempre le nostre mani. Le tue eventuali disattenzioni saranno severamente punite. La safeword rimane quella che conosci bene. Hai capito tutto? - Si, risposi, e aggiunsi "Padroni" - Bene. Hai domande da fare? Il cuore batteva come impazzito. - No, Padroni. Il Padrone stese la mano con l'indice teso e la Padrona disse "in bagno". Mi girai ed andai in bagno a spogliarmi. A casa mi ero già somministrato un lungo ed abbondante clistere. Avevo l'intestino ben pulito. Ovviamente avevo provveduto anche a depilare il pube. Mi spogliai e notai su una mensola i bracciali ed il collare con annesso guinzaglio. Li indossai e, facendomi coraggio, tornai nel salottino. Il mio pene, a differenza delle sessioni con la Padrona era in stato di riposo. La presenza del Padrone mi imbarazzava ed umiliava. Mi fermai al centro della camera. La Padrona protese la mano "pugno in alto". Mi misi in "posizione": gambe larghe, avambracci orizzontali dietro la schiena petto in fuori, e sguardo in basso. Il guinzaglio pendeva dal mio collo ed il pene fra le gambe. Il Padrone si alzò e si diresse verso di me. Mi girò intorno un paio di volte, poi prese un guanto di lattice dalla tasca e l'indossò. Con la sinistra prese il mio mento e con la destra mi aprì la bocca. Avevo visto una scena simile in un documentario sui cavalli. Mi trattava esattamente come una bestia. Osservò la mia bocca ed i miei denti, poi disse "ispezione". Mi abbassai in avanti e Lui andò alle mie spalle. Lo sentii dire "anale" e quindi con le mie mani allargai i glutei, per mostrare il buco del culo. Sentii un dito che penetrava con forza e decisione nell'ano. Istintivamente mi ero contratto, ma mi sforzai di rilassarmi. Il dito si muoveva nell'ano esplorandolo, poi lo sentii uscire. Il Padrone tornò davanti e vidi la "mano a pugno". Mi drizzai, senza guardarlo. La mano col guanto, la stessa che mi aveva penetrato pochi istanti prima, prese il mio membro in mano, tastandolo. Poi prese i testicoli palpandoli e stringendoli fino a farmi fare una smorfia di dolore. Togliendosi il guanto e gettandolo in un cestino tornò a sedersi sulla poltrona. Lo sentii dire, rivolto alla Padrona "Brava. Hai trovato un vero schiavo. Devo decisamente congratularmi con te." Lei, con un sorriso, rispose "Ci divertiremo, con il nostro burattino". Mi resi conto che la Padrona emanava una fortissima carica sessuale. Non mi ero mai accorto prima di quanto desiderio sessuale diffondesse attorno a sé, di quanta eccitazione ci fosse nell'aria quando Lei era presente. La Padrona si alzò e prese le mollettine, con le catenelle, per i capezzoli da un cassetto. Si tolse la vestaglia scoprendo il suo splendido corpo che indossava solo un corpetto e le calze. Al solo vederla sentii il mio membro cominciare ad ergersi, incurante della presenza del Padrone. Lei si avvicinò e mi applicò le mollette ai capezzoli, unendo le mollette con la catenella, al centro della quale era attaccata un'altra catenella che mi arrivava alle ginocchia. Poi, mise la mano a palmo in basso. Subito mi inginocchiai. Lei si mise davanti al mio viso, allargando le gambe. La mia bocca era a pochi centimetri dalla sua meravigliosa fica. Sicuramente intendeva ordinarmi di leccarla. Sentivo il mio sesso inturgidirsi. Allungai la testa e tentai di infilare la mia lingua nella vagina. Mi abbassai di più, sedendo sui talloni e cominciai a leccare. Lei muoveva il bacino per meglio permettere alla mia lingua di entrare dentro di lei. Improvvisamente mi allontanò e prese il guinzaglio attaccato al mio collare. - Ora andiamo dal Padrone, a fargli sentire come lecchi. Sentii il collare tirarmi verso la poltrona. Alzai lo sguardo e vidi il Padrone che si era liberato della vestaglia restando nudo. Il suo fisico non era atletico, ma si vedeva che era curato. Il suo membro semirigido era appoggiato ad una gamba. Sentivo il mio cuore battere forte. A quattro zampe mi avvicinavo alla poltrona. La Padrona mi spinse fra le gambe aperte del Padrone. Il mio viso era a pochi centimetri dal sesso del Padrone. Sentivo l'odore di maschio che emanava. La Padrona si inginocchiò e posò la sua mano sulla mia testa. Poi lentamente, ma inesorabilmente, spinse la mia testa verso il cazzo del Padrone. Le mie labbra incontrarono il sesso del Padrone, e si aprirono. Il cazzo scivolò lentamente nella mia bocca. Sentii sulla lingua, caldo e vivo, quel pezzo di carne. La mano della Padrona non aveva abbandonato la mia testa. Sentii la Padrona dire - avanti troia, succhia, ti ho addestrata a fare i bocchini. Chiusi gli occhi e cominciai a leccare il cazzo come avevo fatto con quelli di plastica. La mano della Padrona strinse i capelli facendomi aprire gli occhi. La guardai, con il cazzo del Padrone nella mia bocca, e capii che voleva che tenessi gli occhi aperti, per sottomettermi nel peggiore dei modi. Sentivo sulla lingua il sapore maschile, ma ero troppo agitato per sentirne il gusto. Avvertivo il membro crescere nella mia bocca, mentre la lingua leccava e picchiettava la cappella. La mano della Padrona mi guidava movendo la testa. La sentii tirare e, assecondandola, il pene sfuggì alla presa della mia bocca. Si era notevolmente indurito, senza che si scoprisse il glande. - Scappellalo, con le labbra - ordinò il Padrone. Sentire una voce maschile mi scosse, quasi che quel cazzo, fino a quel momento, fosse stato finto. Alzai gli occhi e guardai un momento il Padrone; due occhi di ghiaccio mi fissarono. Abbassai la testa e ripresi quel cazzo fra le mie labbra, cercando di scappellarlo. Il glande mi riempi la bocca. Quel sapore maschile era diventato più forte ed intenso, con il glande scoperto. Sentii di nuovo una mano sulla testa e mi resi conto che non era della Padrona. Era Lui che spingeva la mia testa sul suo cazzo, facendolo arrivare quasi in gola, quasi fino ad affogarmi. Mi teneva immobile la testa sul suo uccello, facendomi capire che dovevo solo leccare. Leccai a lungo, battendo la lingua sulla cappella, girandoci attorno, colpendo il filetto con forza, ritmicamente, come avevo fatto con il fallo finto della Padrona. Ma ora era un cazzo vero, di un uomo, nella mia bocca, sulla mia lingua. Ad ogni colpo di lingua lo sentivo crescere e indurire, e pulsare. Vivo e caldissimo. Il guinzaglio mi tirò e il membro uscii dalla mia bocca. Davanti ai mie occhi si ergeva il lungo e duro cazzo del Padrone. Mi guardai attorno per vedere dove era la Padrona e la vidi sull'altra poltroncina, che si stringeva un capezzolo mentre l'altra mano era sprofondata fra le sue gambe. - le palle, lecca le palle e l'asta, schiavo - sentii dire al Padrone. Anche il Padrone aveva i peli del pube accorciati, non tanto da procurargli fastidio ma quel tanto che permetteva di accrescere la sensibilità dello scroto e del membro. Abbassai la testa e poggiai la lingua sullo scroto, avvertendo la fastidiosa presenza dei peli. Mossi la lingua sui testicoli, leccandoli. Poi cominciai a risalire l'asta verso il prepuzio, con colpi di lingua lunghi e decisi. Il Padrone aveva, come me, il filetto attaccato. La cappella era dura e gonfia, davanti ai miei occhi. Continuai a leccare il prepuzio e poi scesi verso le palle, poggiando le labbra sull'asta turgida, quando sentii il Padrone dire "prendi le palle in bocca, schiavo" Aprii la bocca e presi in bocca un testicolo. I peli mi solleticavano procurandomi quasi dei conati di vomito. Lo leccai e poi passai all'altro. Sentivo lo scroto inturgidirsi e gonfiarsi. Un movimento mi fece alzare gli occhi e vidi la Padrona che agevolmente stava per sedersi su quel cazzo che stavo leccando. Con le spalle verso il Padrone, a gambe larghe su di Lui si sta abbassando. Con i testicoli in bocca vedevo la cappella che penetrava lentamente la fica bagnata della Padrona. Un impeto di gelosia mi avvolse la mente, mentre guardavo come stregato quell'asta che scompariva dentro alla Padrona. Lo vedevo entrare ed uscire, con una lentezza esasperante. Sentii la Padrona ordinare - lecca schiavo, lecca cazzo e fica, mentre noi chiaviamo. Alla vista della Padrona il mio pene, nonostante avessi i testicoli del Padrone in bocca, era andato in piena erezione. Credo che la Padrona se ne accorse perché la sentii dire, beffarda, "Sempre eccitato, il nostro schiavo" Abbandonai i testicoli e leccai, seguendo il movimento della Padrona, la sua Clito e l'asta del Padrone. La Padrona, intanto, si era sdraiata supina sul Padrone che, con forti e decisi colpi del bacino la scopava. Sentivo il tormento della gelosia offuscarmi la mente, mentre la vedevo penetrare, ed io a leccare quel cazzo che assaporava quella deliziosa fica. Poi la Padrona si alzò e girandosi prese a cavalcare il Padrone frontalmente. Davanti a me vi era ora il piccolo e rosa ano della Padrona. Senza attendere che me lo ordinasse cominciai a leccarlo, cercando di infilare la lingua quanto più dentro fosse possibile. Lo sentivo contrarsi e dilatarsi attorno alla lingua. Se non potevo scoparla, almeno volevo darle, anche io, quanto più piacere fosse possibile. Sentivo i colpi del Padrone intensificarsi e farsi più veloci, sentivo la Padrona mugolare di piacere, finché entrambi godettero. Si abbandonarono uno sull'altro, per un momento in silenzio, mentre io ritiravo la lingua dal culo della Padrona e restavo in attesa, con il mio cazzo gonfio di desiderio ed i capezzoli tormentati dalle mollettine. - pulisci - ordino il Padrone, mentre Lei si sollevava per far sgusciare fuori da sé il membro. Davanti ai miei occhi quel cazzo che andava ritirandosi, bagnato fino alle palle del liquido della Padrona e sporco di sperma era ripugnante. Lo guardai senza muovermi. La Padrona si alzò, prese il frustino che era sul tavolino e mise un piede sulla catenella collegata alle mollette sui capezzoli e che, trovandomi in ginocchio arrivava a terra, in modo che non potessi muovermi senza procurarmi un dolore fortissimo ai capezzoli. Una frustata si abbatté sui mie glutei. - non hai sentito il Padrone? Lecca, lecca il cazzo e puliscilo bene, schiavo. Tornai a guardare il pene del Padrone: appoggiato ad una gamba, semirigido, era repellente e disgustoso. Altre due frustate mi colpirono i glutei; sentivo il dolore diffondersi sui glutei, risalire la schiena e mischiarsi al dolore dei capezzoli. La Padrona continuava a colpire, lentamente, cadenzando i colpi in modo che avvertissi tutto il dolore di ogni singolo colpo. Vincendo la nausea, avvicinai la testa al pene, aprii la bocca e cominciai a leccare. Leccavo, ingoiando i liquidi sul cazzo del Padrone. - Bene schiavo, ora pulisci la Padrona - ordinò il Padrone. Mi spostai a quattro zampe verso la poltroncina dove intanto si era semisdraiata la Padrona e mi apprestai a pulirla. - lecca bene schiavo, risucchia bene tutto da dentro di me, e se sarò soddisfatta ti daremo il permesso di toccarti quel tuo cazzetto - disse la Padrona. Infatti, dopo essersi ritirato sotto i colpi della frusta, il mio pene era di nuovo in erezione. Avvicinai la bocca alla vulva e aspirai; i liquidi gocciolavano e la mia lingua li raccoglieva per ingoiarli. Anche la vagina era sporca, ovviamente, di sperma, ma era meno repellente. Leccai con attenzione, dentro e fuori, lasciandola ben pulita. I Padroni mi guardavano impenetrabili, poi il Padrone si alzò ed andò in bagno. Tornò ed aveva in mano un guanto per la doccia, quelli di plastica similcrine, pungenti e duri. Lo gettò a terra davanti a me e disse - puoi toccarti, ed anche godere. Ma solo indossando questo guanto. Guardai il guanto, lo presi e lo indossai sulla mano destra. Avvicinai la mano così inguantata al mio membro, cercai di stringerlo e sentii mille punture lungo la mia asta. Il Padrone era ancora più diabolico, se era possibile, della Padrona. Strinsi delicatamente il mio pene e cominciai a masturbarmi. Le fitte che il guanto procurava se, da un lato dolevano dall'altro eccitavano ulteriormente, formando un miscuglio di dolore/piacere intensissimo. Dovevo muovere la mano con molta lentezza e cautela nel masturbarmi, per non procurarmi eccessivo dolore. Sentii la Padrona dire - ovviamente, schiavo, devi leccare e ingoiare il tuo sperma; ma mi sento buona. Puoi scegliere se spruzzare a terra e leccare o godere in un bicchiere e bere. Cosa scegli schiavo? Senza esitare risposi "bicchiere Padrona " - alzati e prendilo dal carrello. Mi alzai e mi diressi al carrello dei liquori. Presi un bicchiere largo e basso e tornai in ginocchio dove mi trovavo prima, fra il Padrone e la Padrona. - Stai attento a non sporcare a terra - disse il Padrone Con cautela ripresi a masturbarmi. Cercavo di non scappellare completamente il glande per proteggerlo dal guanto, ma il movimento diventava troppo corto per permettermi di godere. Aumentavo il movimento e sentivo punture insopportabili sul prepuzio. Era veramente un'idea diabolica, farmi masturbare con quel guanto. Vedevo la Padrona toccarsi distrattamente i capezzoli, mentre mi osservava. Il Padrone aveva acceso un sigaro e guardava. Con lentezza esasperante continuavo a masturbarmi, mentre mi accorgevo che il viso era diventato di fuoco, finché non sentii che stavo per eiaculare. Afferrai il bicchiere con l'altra mano e godetti abbondantemente nel bicchiere. Guardai il bicchiere che conteneva un dito di liquido lattiginoso che era il mio sperma. - bevi, sentii dire dalla Padrona Esitai e sentii il rumore di un colpo di frusta sul divano. Alzai il bicchiere e lentamente lo avvicinai alle labbra. Lo inclinai e sentii il liquido ancora caldo toccare la bocca. Chiusi gli occhi aumentando l'inclinazione. - Apri gli occhi, e guardami mentre bevi - ordinò il Padrone. Mi forzai ad aprire gli occhi ed a guardarlo. Il viso impenetrabile del Padrone mi fissava. Inclinai il bicchiere e sentii il liquido scivolare sulla lingua. Vincendo la repulsione ingoiai. Poggiai il bicchiere e restai immobile, in ginocchio. Poco dopo vidi il pugno del Padrone rivolto in basso. Mi alzai ed andai in bagno a vestirmi. Tornai nel salottino e il Padrone disse "Puoi andare. Torna dopodomani, alla stessa ora " - Si Padrone. Grazie Padrone, grazie Padrona. - Prima di andare, bacia quello che hai l'onore di servire, schiavo. Non capii subito, poi mi inginocchiai e baciai il membro del Padrone. Mi alzai, mi avvicinai alla Padrona, mi inginocchiai e baciai la vulva. - Grazie Padrone, grazie Padrona. - dissi, ed uscii. Per la prima volta avevo leccato e succhiato un cazzo vero. Avevo leccato e ingoiato lo sperma di un altro uomo. Ero solo uno schiavo, un cane da lecca. Mentre tornavo a casa, vomitai.
taikirb
00giovedì 9 aprile 2015 10:26
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amosolodonne
00lunedì 13 aprile 2015 19:27
Cap VII
Dopo due giorni tornai dai Padroni. Questa volta ad aprire la porta fu il Padrone. Entrai ed attesi che il Padrone mi precedesse nel salottino. Lo seguii e lo vidi indicarmi il bagno, dove mi recai per spogliarmi. Indossai i bracciali ed il collare, poi notai anche le mollettine per i capezzoli. Indeciso, mi domandai se dovessi applicarmele. Poi dedussi che se erano lì, affianco ai bracciali dovevo indossarle. Indossai anche le mollette e tornai nel salottino. Il Padrone era nella sua poltrona, in vestaglia. La Padrona non c'era. Lui mi guardò e vedendo la mia sorpresa, dovuta all'assenza della Padrona, disse - oggi la Padrona non c'è, schiavo. Ti userò io, da solo. Qualche tua osservazione? Ero rimasto raggelato dall'assenza della mia Padrona e per un'attimi pensai di interrompere il "gioco" pronunciando la safeword; stavo quasi per pronunciarla quando il pensiero che non l'avrei mai più vista mi fermò. - no, Padrone. Nessuna osservazione. - dissi. - Bene. Ascoltami bene. Uno: devi essere eccitato anche se non c'è la Padrona; non mi piacciono i frocetti a cazzomoscio. Due: oggi devi imparare a fare dei pompini decenti. Tre: dopo avermi spompinato, come ti tirò, ed avermi fatto godere dovrai farmi eccitare di nuovo per poterti sodomizzare. Sono stato chiaro? - concluse il Padrone - Si Padrone. - Inginocchiati, masturba il tuo pescetto per farlo rizzare, e prendi in bocca il cazzo del tuo Padrone. Mi inginocchiai ed avanzai verso di Lui. Aveva aperto la vestaglia e fra le gambe pendeva il suo pene. Mi masturbai e quando il mio pene fu eretto presi in bocca il cazzo del Padrone. Solo la mia bocca doveva toccare il Padrone; dovevo stare attento a non toccarlo con nessun'altra parte di me. Le mani dovevano essere dietro alla schiena. Cominciai a leccare ed a succhiare, ingoiando la mia saliva perché un buon pompino doveva essere fatto a lingua asciutta. Il cazzo iniziò a prendere consistenza, e seguendo le indicazioni che il Padrone dettava, scappellai il glande con le labbra. Poggiai delicatamente gli incisivi superiori alla base del glande e con la punta della lingua picchiettavo il prepuzio. Picchiettare e passare la lingua sul glande, accarezzando lentamente ogni tanto la parte superiore con gli incisivi e con le labbra. Ogni tanto dovevo bere un sorsetto di whisky facendo bagnare tutta la bocca, bagnando bene le labbra e lasciandone un po' sulla lingua. Dovevo continuare così finché Lui non avesse raggiunto il "precum", o "uretrorrea ex libidine", che dir si voglia. Lo sentivo crescere e dovetti aprire ancora di più le mascelle per accoglierlo in bocca. Lavorai così di lingua e di bocca, sentendolo diventare sempre più duro, per un po' di tempo, finché sentii le goccioline dolci uscire dall'uretra. Erano dolci e appiccicose. Mi fermai ed alzai la testa facendolo uscire dalla bocca. Alzai gli occhi verso il Padrone e lo vidi annuire. Seguendo le sue indicazioni, lo ripresi in bocca assecondando la naturale inclinazione del cazzo e cominciai a muovere la testa in un lungo movimento verticale, facendolo entrare in bocca lentamente e, abbassando la testa, farlo entrare fino a quanto potevo. Poi, rialzando la testa più velocemente, farlo uscire, ma non completamente bensì fino all'imboccatura del glande. E continuare cosi finché non eiaculava, facendo attenzione a non far uscire neanche una goccia di sperma dalla mia bocca. Le labbra non dovevano mai staccarsi dalla superficie del cazzo e nello scendere i miei incisivi superiori, e solo quelli, dovevano lentamente accarezzare il glande e l'asta, mentre nel risalire la lingua doveva fortemente premere e, arrivata al glande, doveva velocemente picchiettare il prepuzio. Sentivo la schiena ed il collo dolere. Continuai a sbocchinare il cazzo, cercando di tenere la bocca e la lingua asciutta ingoiando la saliva che producevo abbondantemente. Il cazzo era caldo e durissimo; ad un tratto avvertii la mano del Padrone sulla testa che afferrava i capelli in modo da controllarla. Mi fermò la testa in modo che solo il glande si trovasse nella mia bocca. Sentii sul mio labbro inferiore uno spasmo contrarre il prepuzio e un violento spruzzo di sperma bollente colpì il palato. Sentii il padrone dire "manda giù" e prima che potessi pensare ingoiai mentre altri spruzzi mi riempivano la bocca. Serrai le labbra attorno alla cappella e mandai giù tutto. Ero talmente concentrato sugli ordini del Padrone da non realizzare che avevo fatto il mio primo pompino con ingoio. Talmente concentrato da non provare la repulsione e il disgusto di ingoiare quello sperma. Talmente schiavizzato da non capire cosa facevo. La mano del Padrone spinse la mia testa ed il cazzo rientro tutto in bocca. La sentii abbassarsi e tirare su un paio di volte e poi lasciare la mia testa. Capii che dovevo continuare, e mentre continuavo il Padrone disse "pulisci bene tutto, troia." Passai la lingua sulla cappella e sull'asta, ingoiando. Il pene aveva perso di durezza, pur rimanendo semirigido. Sentii il guinzaglio tirare e mi sollevai, lasciando il pene che si poggiò sulla gamba del Padrone. - Ha ragione la Padrona. Sei intelligente ed impari presto. - disse il Padrone - grazie Padrone - risposi - puoi andare in bagno a bere, se vuoi. - grazie Padrone. Mi alzai ed andai in bagno, dove mi sciacquai la bocca, liberandola dal sapore dello sperma, che però poco dopo invase di nuovo la bocca, e tornai nel salottino. - ora, accucciati qui, affianco a me. Guarda quell'orologio - disse indicando un orologio su un mobile - fra quindici minuti voglio che tu mi faccia un altro bocchino per farlo tornare duro; voglio incularti. E ricorda che non mi piacciono o frocetti cazzomoscio. Non vedi che il tuo cazzetto e quasi scomparso? Vuoi essere punito? Abbassai lo sguardo sul mio pube e vidi che il mio pene era effettivamente ridotto ai minimi termini. - Avanti, accucciati e fra quindici minuti esatti esegui i miei ordini. - terminò il Padrone. Mi spostai e mi misi affianco alla poltrona, sdraiandomi sul tappeto come un cane. Il Padrone si alzò, si diresse verso l'orologio portandolo sul bordo del mobile in modo che potessi vederlo agevolmente, ed andò nella camera da letto. Rientrò nel salottino portando dei giornali e tornò a sedersi sulla poltrona, apprestandosi a leggerli. Rimasi in quella posizione cercando di rilassarmi. Ero stupefatto di come avessi eseguito quello che avevo fatto. Con una donna era una cosa, ma con un uomo... Era una coppia infernale, erano entrambi diabolici ed avevano su di me un potere oscuro... erano i miei Padroni. Il tempo trascorreva mentre sentivo il rumore delle pagine sfogliate, l'odore del sigaro del Padrone, il ticchettio dell'orologio. Il silenzio era assoluto ed ovattato. Pensavo a dove potesse essere la Padrona, quando mi accorsi che mancavano pochi minuti al termine. Cominciai a toccarmi ed a masturbarmi affinché il mio pene fosse duro quando avessi cominciato il nuovo pompino, come aveva ordinato il Padrone. Sentii lo sguardo del Padrone su di me, e per un momento mi vergognai come non mai. I quindici minuti erano trascorsi. Mi alzai, rimanendo in ginocchio e con le braccia dietro alla schiena, e mi avvicinai al Padrone, che aveva le gambe accavallate. Come se fosse casuale le scavallò. Sentii il guinzaglio tirarmi di lato, e capii che dovevo farlo stando di lato e non, come prima, fra le gambe. La vestaglia era chiusa. Con la bocca afferrai un lembo e lo tirai, scoprendo il pube del Padrone, il quale continuava apparentemente a leggere. Non sapevo bene cosa fare. Il Padrone sembrava disinteressato a quello che stavo facendo, incurante di me. Decisi di eseguire semplicemente gli ordini che avevo avuto per cui abbassai la testa sul cazzo cominciando un nuovo pompino. Sentii il bacino del Padrone scivolare un poco in basso per agevolare il mio compito. Questa volta il cazzo non si inturgidì immediatamente; il Padrone aveva goduto poco prima. Mentre la mia lingua lambiva il cazzo del Padrone, ogni tanto mi masturbavo per tenere eretto il mio pene; non volevo essere punito con chissà quale castigo. A poco a poco il cazzo del Padrone andava indurendosi. La mia lingua passava dall'asta alle palle, leccando e picchiettando, a lingua larga e di punta, sollecitando i punti più sensibili. Le labbra si poggiavano sulla cappella, aspirando come da una sigaretta. Forse per questo un pompino era detto anche bocchino. Come un bocchino per le sigarette. Continuai così finché non fu ben duro. Il Padrone aveva smesso di leggere e mi guardava. - ora, poiché non voglio godere nella tua bocca ma voglio incularti, ti consiglio di insalivarlo bene, perché io non uso creme o lubrificanti. L'unico lubrificante è la tua saliva, schiavo. Più ne metti, meno dolore sentirai, quando te lo infilo in culo - disse il Padrone. Non avevo pensato a questo. La Padrona aveva sempre usato una crema lubrificante. Mi apprestai a bagnare bene il cazzo con la saliva. Prima ne avevo tanta, ma ora la mia bocca era asciutta. Comunque riuscii a bagnarlo per bene, dalla cappella fino ai testicoli. - alzati ed inginocchiati sul divano, poggiando il petto sullo schienale. Posiziona la catenella delle mollette sul divano, fra le tue gambe allargate. - ordinò il Padrone Eseguii e il Padrone si alzò dalla poltrona dirigendosi verso di me. Si fermò alle mie spalle e disse - bagna il culo con la saliva. Misi quanta più saliva potevo sull'indice e medio della mano sinistra, e passandola fra le gambe mi umettai l'ano. Ripetei l'operazione bagnandomi bene. Nel passare la mano fra le gambe mi accorsi che il mio pene era semifloscio, per cui con l'altra mano cominciai a masturbarmi. Chissà perché immaginai l'espressione che avrebbe avuto la ragazza, con la quale ero uscito la sera prima, se mi avesse visto in quella posizione, pronto a farmi inculare. Il Padrone, che aveva notato la mia masturbazione disse - bravo, schiavo. Sentii la sua cappella appoggiarsi contro il mio ano. Calda e dura cominciò a premere. Automaticamente contrassi l'ano. Sentii tirare i capezzoli, attraverso la catenella. Mi forzai a rilassarmi, dilatando l'ano e abbandonando il busto sullo schienale del divano. Il cazzo entrò lentamente ed inesorabilmente dentro di me. Cominciò a muoversi stantuffando nel mio intestino e le mie ghiandole anali cominciarono a secernere il loro liquido lubrificatore. Era diverso dal come mi penetrava la Padrona: in Lei c'era un ché di delicato, mentre nel Padrone sentivo il possesso e l'aggressività del maschio. Il Padrone si fermò, lasciando il suo cazzo quasi tutto dentro di me e disse - muovi il culo, troia rottainculo, ruotalo e fai entrare e uscire il cazzo del tuo Padrone che ti sta chiavando. Lo sentivo dentro di me, incredibilmente duro e caldo. Mi mossi, ruotando il bacino e facendolo uscire, ma non completamente perché era la cappella, quando entrava, a dare il maggior dolore. - no schiavo, devi farlo uscire tutto il cazzo. E devi farlo entrare fino alle palle - sentii dire al Padrone. Cominciai ad oscillare sulle gambe, eseguendo l'ordine. Ondeggiavo movendo contemporaneamente in senso rotatorio il bacino. Ero diventata una puttana, come mi aveva promesso la Padrona. Una puttana da inculare e da cui farsi fare bocchini con ingoio. Sentivo il Padrone accentuare il movimento di entrata con colpi decisi e profondi. I suoi coglioni sbattevano sotto al mio ano, colpendo qualche volta il mio scroto. Il Padrone aveva goduto poco prima, sapevo che non sarebbe durato poco. Cominciavo a sentire il buco del culo che avvampava, e l'aria che, ogni volta che il cazzo entrava portava con sè, riempiva un poco di più il mio intestino, aumentando quasi il volume di quel cazzo. Sentii le mani del Padrone sui mie glutei. Li serrava e pizzicava facendomi contrarre l'ano, dandomi maggiore sofferenza. Percepivo il pube che ritmicamente si poggiava contro i miei glutei, spingendo dentro di me il suo cazzo che, ad ogni colpo sembrava diventasse più duro e lungo. Continuavo a dondolare sulle ginocchia quando una mano sui fianchi mi fece capire che dovevo restare immobile. Anche il Padrone si fermò. Ora sentivo distintamente i riflessi incondizionati del Padrone che facevano pulsare il suo cazzo, lo sentito ergersi dentro di me come a volermi sollevare, bollente e duro. Ricominciò come un pistone ad entrare ed uscire dal culo, sempre più veloce e sempre fino in fondo, fino a quando si fermò lasciandolo tutto dentro e percepii che stava per godere; lo sperma mi stava riempendo l'intestino. Avvertivo distintamente quando stava eiaculando; quel cazzo diventava, eiaculando, se possibile, ancora più grosso e aveva un convulso movimento di erezione. Eiaculò quattro volte, poi dette un paio di colpi ancora e lo estrasse dal mio culo oramai in fiamme. - alzati dal divano e inginocchiati - sentii dire al Padrone Mi alzai, stremato. Il culo bruciava ed anche i capezzoli dolevano fortemente. Ero davanti al cazzo del Padrone, che pendeva semirigido fra le sue gambe. Era sporco di sperma, ed anche delle mie feci. - come vedi, mi hai sporcato il cazzo con la tua merda. Non sai che devi farti il clistere prima di incontrare i tuoi Padroni? Comunque, è vero che le cose poco igieniche sono bandite dal nostro rapporto, ma è anche vero che devi essere punito. Puoi scegliere: pulire il cazzo con la lingua o ricevere quindici frustate. Non ebbi dubbi e risposi - le frustate, Padrone. - bene. Resta dove sei. Si allontanò e poco dopo ritornò con il frustino in mano. Ora indossava la vestaglia ed era andato in bagno a lavarsi. - Il tuo cazzetto è moscio, schiavo. Voglio che sia eretto, e fra una frustata e l'altra mi fermerò se vedrò che non lo è. Ti masturberai finché non torna eretto, dopo di che continuerò a fustigarti. Chiaro ? - si, Padrone Cominciai a masturbarmi finché non fu sufficientemente eretto. Il Padrone colpì i miei glutei con la frusta. Ancora un colpo. Il mio pene andava afflosciandosi. Ricominciai a masturbarmi; tornò eretto nonostante le strisce di fuoco che sentivo sulle natiche. Andammo avanti così, finché non ricevetti i quindici colpi di frusta. Il dolore delle frustate mi annebbiava la vista, ma vidi la mano "pugno rivolto in basso". Potevo andare. Guardai l'orologio sul mobile; erano trascorse più di due ore. Due ore con un cazzo prima in bocca e poi in culo, e per finire quindici frustate. Senza contare il pompino con ingoio. In bagno cercai di guardare le mie natiche nello specchio: erano rosso fuoco e doloranti. Mi vestii, tornai nel soggiorno, mi inginocchiai per baciare il membro del Padrone il quale disse "oggi è mercoledì... torna sabato, alle diciotto". Senza dire una parola, uscii.
amosolodonne
00lunedì 13 aprile 2015 19:28
Cap VIII
Verso la fine di luglio i Padroni mi avevano offerto di andare con loro a trascorrere le vacanza. Liberamente potevo accettare o rifiutare; avevo accettato. Le sessioni avevano soddisfatto entrambi i Padroni e, per quanto mi riguardava avevo superato, bene o male, l'impatto col Padrone. Eravamo appena scesi dall'aliscafo che ci aveva portando nella piccola isola del sud Italia, dove il Padrone aveva deciso di trascorrere le vacanze, che sentii il calore del vulcano, presente sull'isola, che mi sferzava, riempiendomi di un'energia singolare. Vi era nell'atmosfera, una vitalità proveniente dal sottosuolo, un "quid" particolare che contagiava ogni forma di vita. I profumi, i fiori, l'aria, il mare, tutto era intenso. Anche il ritmo dell'isola era particolare: era scandito dall'arrivo della nave che, alle sei di mattina ed a giorni alterni, portava i turisti. Oltre alla nave anche l'aliscafo, arrivava all'isola ma solo una volta alla settimana, alle sei del pomeriggio. Il Padrone aveva preso in fitto una casa all'estremità dell'isola, una zona isolata e lussuosa della piccola isola. Ottimo organizzatore, aveva reperito sull'isola una cuoca che veniva a cucinare verso le cinque del pomeriggio, ed una cameriera per le pulizie. Aveva anche noleggiato, per tutto il periodo, un fuoribordo che attendeva al porto, e non essendo possibile portare sull'isola una autovettura, aveva preso accordi con un taxi locale. Il tassista, proprietario del mezzo di trasporto che in realtà era un triciclo a motore molto diffuso nella piccola isola in quanto le stradine non erano tanto larghe per poter far passare un'autovettura aveva assicurato al Padrone che entro un quarto d'ora dalla telefonata, a qualsiasi ora, sarebbe giunto a prenderci per portarci dove desideravamo. Arrivammo alla villetta mono famigliare che si articolava su due piani. A piano terra un vasto salone, la cucina ed un bagno. Al piano superiore quattro camere da letto, tutte matrimoniali e con bagno. Due delle camere da letto avevano un terrazzo panoramico, uno verso il mare e l'altro verso il vulcano ed il piccolo paesino. A piano terra il salone affacciava su un ampio giardino splendidamente tenuto, con piante subtropicali grandi e lussureggianti, come d'altro canto tutte le piante che avevamo visto lungo il percorso affacciarsi dalle mura che recintavano le abitazioni. Una foltissima e alta siepe circondava tutto il giardino, rendendolo impenetrabile a sguardi estranei. La cucina invece aveva avanti a sé un piccolo slargo, dal quale si svolgeva un viottolo che, entro una ventina di metri, conduceva ad una discesa a mare semiprivata. Semiprivata in quanto erano solo altre tre o quattro villette a potervi accedere. L'insenatura, inaccessibile da terra, se non da quelle quattro villette era incantevole. Tutta la casa ed il giardino erano arredati con gusto e con mobili non costosissimi ma neanche economici. Il Padrone e La Padrona presero la camera col terrazzo verso il mare ed mi chiesero di scegliere la mia. Optai per l'altra verso il mare, anche se sprovvista di terrazzo ma comunque con un comodo balcone. Sistemammo i vestiti e dopo una doccia ci ritrovammo nel giardino. Eravamo tutti stanchi delle sei ore di viaggio. Il Padrone propose di andare a cenare per cui chiamò il tassista, che effettivamente dopo dieci minuti bussò al cancello. Posammo i bicchieri con un aperitivo, che intanto ci eravamo serviti, e salimmo sulla motoretta, come la chiamavano. Cenammo in uno dei tre ristoranti "buoni" dell'isola a base, ovviamente, di pesce. In presenza di estranei il rapporto con I Padroni era convenzionale e formale; appariva una coppia con un loro ospite, col quale non avevano familiarità ma col quale erano cortesi ed attenti; ovviamente ci chiamavamo per nome. La situazione cambiava radicalmente quando eravamo solo noi tre. Loro diventavano i Padroni ed io meno di un oggetto. Era una situazione schizofrenica. Terminammo di cenare e la motoretta ci riportò alla villetta. Sfiniti, ci augurammo la buonanotte ed andammo a dormire. Mi svegliai all'alba e mi accorsi che la camera guardava a levante. Dovevo chiedere di spostarmi dall'altro lato della casa. Io odiavo essere svegliato dall'alba. Mi trattenni a letto per un po', poi sentendo dei rumori mi alzai. Era appena mattino presto e già il caldo, anche se asciutto, era soffocante anche se non opprimente. Indossai un pantaloncino ed una maglietta e scesi al piano inferiore. Trovai La Padrona in cucina che preparava il caffè. Indossava un pareo semitrasparente attraverso il quale si vedeva che non indossava altro. Il Padrone su una sdraio nel giardino era in solo in pantaloncini; mi invitò ad accomodarmi su una sdraio e, in attesa della colazione, parlammo della bellezza del posto. La Padrona portò un vassoio con la colazione, poggiandolo su un tavolino ed invitandoci a servirci. Terminata la colazione il Padrone disse, - organizziamo il nostro soggiorno qui. Ho procurato questi due apparecchi ricetrasmittenti. Uno lo terrai nella tua camera ed uno lo terremo noi. Quando sentirai il cicalino dell'apparecchio verrai da noi nudo, con i bracciali ed il collare. Se invece sentirai due volte il cicalino ti vestirai da donna. Un suono lungo vuole dire che siamo in camera da letto, corto invece che siamo al pianterreno. Entro quindici minuti al massimo devi essere da noi in ogni caso. Se e quando desideri uscire da solo, sia di giorno che di sera, avvertici. Tieni conto che non puoi chiamare il tassista fra le due di notte e le nove di mattina. L'alternativa al tassista è venire qui a piedi, e dal paesino sono quasi cinque chilometri. Fra le cinque e le otto del pomeriggio viene la cuoca e la cameriera, quindi sicuramente in queste tre ore non ci sarà mai nessun "gioco". La Padrona continuò - oggi sospendiamo il "gioco". Ambientati, visto che è la prima volta che vieni in questo posto. Domattina riprenderemo, con tutte le regole. "Va bene" risposi, omettendo la parola "Padroni" visto che avevamo sospeso il "gioco" "Prepariamoci e andiamo a provare il motoscafo, facciamo il bagno in modo che nel pomeriggio ti portiamo a conoscere l'isola; non ci vorrò molto visto quanto è piccola" concluse il Padrone. La giornata trascorse. Resti sorpreso dal mare: credevo che un mare così trasparente esistesse solo nei paesi tropicali. Oltre alla trasparenza il mare intorno all'isola era di un tepore imprevisto. La gente per le stradine era in prevalentemente molto giovane e frenetica e gli isolani erano tutti gentili e cortesissimi. Quel caldo era veramente particolare: in parte dovuto al sole ma in parte dovuto al calore del vulcano in continua semi eruzione; invece di stremare, come accade solitamente, ritemprava, quasi eccitando i sensi. Andammo a dormire a notte inoltrata. Avevo chiesto di trasferirmi in una delle camere a ponente, così da non essere svegliato dal sole. I Padroni, invece, avevano fatto applicare, dalla proprietaria della casa, una pesante tenda al balcone. Mi svegliò il cicalino della ricetrasmittente. Guardai la sveglia che indicava le otto e quaranta. Ripresi coscienza e mi accorsi che il mio membro era in stato di semi erezione. Mi alzai ed andai in bagno. Il cicalino aveva suonato, mi sembrava, una volta brevemente. Erano in camera da letto e dovevo indossare solo bracciali e collare. Mentre ero in bagno, a soddisfare i bisogni fisiologici, realizzai che non avevo il tempo di somministrarmi un clistere. Dopo quella prima sessione da solo con il Padrone, nel quale avevo ricevuto le quindici frustate per aver sporcato il cazzo del Padrone, avevo preso l'abitudine di fare ogni mattina un piccolo lavaggio intestinale. Ma ora non avevo tempo. Avrei dovuto trovare una soluzione; non volevo rischiare altre punizioni. Comunque andai di corpo, una veloce doccia, indossai i bracciali ed il collare, ed uscendo dalla camera guardai l'orologio. Nove meno dieci: in tempo. Trovai la porta della camera dei Padroni socchiusa. Fui incerto se bussare, poi considerai che mi attendevano quindi entrai e mi misi in posizione d'attesa, pronunziando "Buongiorno Padroni". Erano sul letto nudi e stavano facendo l'amore. Il Padrone era di fianco alla Padrona e stava accarezzando e leccando i seni. Con una mano accarezzava la fica della Padrona che aveva una gamba distesa e l'altra piegata, in una posizione che le era usuale e alla quale riusciva a dare un ché di sfrontato e di osceno. Mi ignorarono e continuarono ad accarezzarsi. Il mio pene, che già al risveglio era semi eretto, era diventato duro e pulsante. Il pensiero di toccarmi, ovviamente, non mi sfiorò nemmeno, ma era una vera tortura. Il senso di gelosia nel vedere la Padrona che soddisfava il Padrone era passato, ma a volte tornava violento e prepotente. Sentii la voce, un po' roca, della Padrona - vieni qui, cane. Mi misi carponi e mi avvicinai al letto, dalla parte della Padrona. Ella si giro, sul letto, ponendo a portata della mia bocca la sua vulva. Cominciai a leccarla, ingoiando. Vidi sottocchio che si sporgeva verso il Padrone, prendendo in bocca il suo cazzo. La sentivo mugolare, mentre muoveva il suo ventre contro la mia bocca. Dopo un po' di tempo si alzo e montò il Padrone, facendosi penetrare dal suo cazzo. Ero lì, come un cane, carponi, a guardarli scopare. Finalmente li sentii godere e Lei si accasciò sul Padrone. Come al solito, quando godevano davanti a me, mi preparai a pulire gli organi sessuali dei Padroni. Infatti poco dopo Lei si sdraiò e mi ordinò di nettarla. Poi passai a ripulire il Padrone. Sentivo le mie palle dolere per la tensione, il cazzo esplodere. Finalmente Lei disse - puoi masturbarti, schiavo. Spruzza in quel piatto, che poi pulirai con la lingua. Neanche pochi secondi e godetti violentemente nel piatto. Lo pulii leccando ed ingoiando il mio liquido seminale. Chiesi il permesso di ritirarmi e fui congedato. Tornai in camera da letto facendomi cadere sul letto per riprendere le forze. Ero stato fortunato: il Padrone non mi aveva usato analmente, e quindi non avevo rischiato di sporcarlo. Mi ripromisi di mettere la sveglia alle sette di mattina, per evacuare e somministrarmi il clistere con calma. Cosi riuscii a fare tutto il periodo. Era ricominciato il "gioco" e le giornate cominciaro a scorrere fra balneazione, cene e "giochi".
amosolodonne
00lunedì 13 aprile 2015 19:28
Cap IX
Alcuni episodi erano impressi più degli altri nella mia mente. Ad uno ad uno li stavo rivivendo tutti. La cuoca era appena andata via che sentii suonare il cicalino. Due squilli lunghi. Erano in giardino e dovevo scendere travestito. Dopo una veloce doccia indossai il bustino nero con reggicalze e, indossate le calze, le aggancia. Indossai la parrucca e la camicetta quindi le scarpe col tacco. Per ultima infilai la stretta e cortissima gonna. Ovviamente nessuno slip. Il bustino aveva anche il seno imbottito e, ogni volta, guardandomi allo specchio mi sembrava di non riconoscere quella immagine riflessa. Scesi le scale con attenzione, mantenendomi al corrimano. Fare le scale con le scarpe col tacco era ancora difficile. - buonasera Padroni, dissi entrando in giardino e mettendomi in posizione di attesa. La Padrona era in abito lungo bianco e stava parlando con il Padrone che indossava pantaloni e camicia. Il Padrone allungò la mano con le dita aperte. Mi fermai vicino all'ingresso del giardino in posizione di attesa. Continuarono a parlottare, ignorandomi. Su un tavolino del giardino, affianco al frustino vi era un oggetto che non avevo mai visto. Era un trapezio, leggermente bombato, il cui lato lungo era di circa 14 centimetri e quello corto di 10, alto 10. Al cento del lato corto vi era una sezione, in lungo, di circa un terzo di un tubo lungo 12 e col diametro di 6; il materiale sembrava plexiglas. Tutti i tagli erano arrotondati con cura. Dai quattro angoli del trapezio partivano quattro cordicelle in pelle, lunghe circa 60 centimetri alle quali erano fissate, ad intervalli regolari, delle ciappette tipo quelle che servivano a chiudere i reggiseno. La Padrona entrò nel salone e, acceso l'impianto stereofonico, inserì un audio cassetta. Nell'aria si diffuse della musica. Si diresse verso il Padrone e, abbracciandolo, cominciò a ballare. Osservavo i Padroni ballare, guardando attentamente la Padrona che si muoveva flessuosa e sensuale contro il Padrone. Sentii il mio membro crescere sotto alla gonna; ergendosi cominciò a strusciare ed a premere contro la gonna, provocando un certa sporgenza. La Padrona si staccò dal Padrone e mi venne vicino. Con il dorso della mano dette un colpo sulla gonna in corrispondenza de mio pene semi eretto e disse - cos'è questo gonfiore? Non sei una femminuccia succhiacazzi tu? Sembri più un travestito in erezione, con quel coso fra le gambe. Andò nel salone ed abbasso il volume. Tornando prese dal tavolino quello affare trapezoidale e si diresse verso una sdraio sulla quale sedette. - vieni qui e togli la gonna, troia. Mi avvicinai alla Padrona che disse - sei veramente una puttana, sei sempre eccitata ed in calore. Ma ora lo abbassiamo, questo tuo cazzetto insolente. Sfilai la gonna dal basso, sculettando come mi aveva insegnato. Rimasi fermo con mio cazzo che, liberato dalla pressione della gonna, si rizzava. Sapevo che ai Padroni piaceva che io lo avessi duro, dimostrando così la mia tensione sessuale. Lui lo aveva esplicitamente detto, la prima volta che mi aveva usato, e a Lei ... ero certo piacesse. Doveva trattarsi di un nuovo modo per farmi soffrire. Mi fece avvicinare ulteriormente alla sedia. Lei prese un pezzo di corda lungo circa 40 cm e vi fece un cappio al centro. Allungò la mano destra prese il mio scroto in mano, facendolo entrare nel cappio tirò il cappio fino a mantenere le palle unite ma senza stringere. Poi poggio il palmo della mano sulla parte interna della mia asta e, con decisione comincio ad portare in basso il mio pene turgido. Continuò a premere e mi accorsi che il pene, cosi abbassato, formava un rigonfiamento alla sua stessa base. Con l'altra mano la Padrona spinse alla base del pene, continuando a spingere con l'altra. Lo sentivo incurvarsi in basso. Prese il trapezio di plastica e, poggiando il semitubo sopra al pene continuò a premere, finche il trapezio non fu appoggiato al mio pube. - Mantieni forte, troia, e girati - disse la Padrona accompagnando le mie mani aperte sul trapezio. Mi girai e unendo le gambe sentii il mio pene, obbligato dal semitubo, pulsare fra l'interno delle mie cosce. Passò le cordicelle che partivano dal lato basso del trapezio fra le mie cosce e, tirando fortemente le agganciò a quelle che partivano dal lato alto. Il risultato fu che avevo questo trapezio che premeva fortemente sul pube e, tramite il semitubo, teneva a testa in giù il mio pene, che altrimenti sarebbe stato eretto. Sentivo le mie palle fra le cosce, in corrispondenza del coccige. Sentivo nettamente la mia cappella premere contro la plastica, sensibile ad ogni contrazione e tentativo di alzarsi del pene. Il principio era lo stesso di quando aveva escogitato la corda per farmi ancheggiare, ma così era peggio. - Bene troia. Infila la gonna e cammina tenendo le gambe ben chiuse - ordino' la Padrona Eseguii e mi accorsi che quell'attrezzo, anziché rendermi il pene insensibile, ne accentuava sia la sensibilità sia il tentativo di erezione perché camminando il glande ed il prepuzio urtavano contro l'interno delle cosce, auto eccitandomi. La gonnellina ora era ben piatta e tirata sul pube. - Cammina un poco avanti e indietro, troia. Sentivo le palle fra le cosce e cercai di camminare allargandole un poco ma il Padrone mi richiamo e strinsi le gambe, cercando di mettere un piede dietro l'altro. Il solletico sulla cappella era un misto di dolore e piacere, e mi accorsi di sculettare più accentuatamente per auto sollecitare e, contemporaneamente grattare con la coscia, la mia cappella. Era quasi riuscita a simulare su un uomo quello che accadeva ad una donna che, camminando ed ancheggiando, stimolava la sua Clito. - Ecco troia, hai capito. Ora sei un poco più donna. - sentii dire alla Padrona - Vieni, siedi un po' fra noi, continuo', indicando una sedia. Mi avvicinai alla sedia per sedermi, e mi accorsi che mi sarei seduto sulle mie stesse palle e che comunque il tubo che manteneva il cazzo all'ingiù non me lo avrebbe permesso. Sedetti in punta alla sedia, poggiando quel tanto dei glutei che potevo. Quel nuovo attrezzo era satanico. La Padrona rise e disse "sembri proprio una puttanella schifosa. Alzati e avvicinati." Mi avvicinai a Lei, che infilo la sua mano sotto alla mia gonna raggiungendo la mia cappella. Lo tocco, verificando che fosse ben incuneato nel tubo, e passo le dita sul prepuzio, sollecitandolo e facendomi avere una spasmo del nervo. In quella posizione il mio prepuzio era terribilmente sensibile. - Servi la cena. Puoi cenare a tavola con noi, se riesci a sedere. Servii la cena e mangiai seduto in punta alla sedia. Ogni volta che mi alzavo per prendere qualcosa il mio cazzo riprendeva vigore, sollecitato dalle mie cosce, tentando di alzarsi. Terminammo di cenare e fui congedato, con l'avvertenza che, quando vestivo da donna, avrei dovuto indossare anche quello strumento infernale. Salì in camera da letto e immediatamente, alzando la gonna per risparmiare tempo, sganciai i ganci che mantenevano il trapezio che, a sua volta, teneva a testa in giù il mio pene. Era fradicio di precum e provavo un desiderio sessuale pazzesco: un prurito interno alla mia asta mi tormentava. Il tenerlo costretto in basso non dava sfogo all'erezione. Era una sorta di "evirazione" provvisoria e quindi poterlo sentire nuovamente eretto era tremendamente eccitante. Mi masturbai violentemente, a lungo, senza neanche spogliarmi. Venni con getti forti e potenti.
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:26
Cap. X
A mare scendevamo dalla insenatura privata, o andavamo alle spiagge di ciottoli che circondavano l'isola. Un tratto di questa era frequentato da nudisti. Il motoscafo lo prendevamo prevalentemente di pomeriggio, quando il sole cominciava a calare. Fu un giorno sulla spiaggia dei nudisti che mi accorsi che la Padrona provava nei miei confronti un senso di possesso estremo. Eravamo distesi a prendere il sole, il Padrone affianco alla Padrona ed io un po' più in basso, steso ai piedi di entrambi. Eravamo lì da più di due ore, ed essendo la spiaggia praticamente a perdita d'occhio eravamo completamente soli. Raramente passava qualche altro turista, che, educatamente, guardava altrove essendo tutti e tre nudi. Vidi avvicinare in lontananza una coppia. Avvicinandosi distinsi che si trattava di due ragazze in costume da bagno. Abbronzate e giovanissime erano veramente due splendide ragazze. Una bionda, che poi vidi essere naturale, con i capelli a caschetto ed una bruna, lunghi capelli con boccoli e due grandi cerchi come orecchini. I colori della ragazza bruna, e qualcosa di indefinito, ricordavano una donna spagnola. Vennero verso di noi, ci oltrepassarono ed, a una decina di metri, si fermarono. Si tolsero il costume e si sdraiarono sulle asciugamani. Con disinvoltura le guardavo attraverso gli occhiali da sole. Ero certo che non potevano vedere che le stessi osservando, ma pochi minuti dopo i pensieri che stavo facendo su di loro cominciarono a vedersi sul mio pene. La Padrona se ne accorse quasi immediatamente. Forse mi teneva d'occhio. Sentii la sua voce bassa e sibilante, come un colpo di frusta: - troia, ti ho ordinato di eccitarti a guardare quelle puttanelle? Senza darmi il tempo di rispondere continuò: - sali più su, stronza. Vieni affianco a me girati su un fianco. Obbedii e mi spostai. Lei prese dai sui capelli un grosso fermacapelli dentato e con mossa veloce scappellò il mio pene, applicando poi il fermaglio sul mio glande nudo e ingrossato. Sentii i dentini premere sul glande. - avanti troia guardale, le puttanelle, ora! L'effetto del fermacapelli fu di farmi immediatamente ridurre il pene, che però quando aveva ridotto la sua dimensione e quindi ridotto la pressione del fermacapelli, ricominciava, anche sollecitato dalla presenza dello stesso fermacapelli, ad ingrossarsi. Si era innescato un ciclo lento e doloroso. Per accentuare il meccanismo ed evitare che mi distraessi, cercando di rilassare il pene, la Padrona sollecitava la mia fantasia con frasi eccitanti ed volgari: “avanti schiavo, guarda che fiche, pensa come sarebbe bello leccarle e bere i loro umori" "guardale bene. Le scoperesti separatamente o insieme? Certo, se sapessero che quella tua bocca è sempre piena di sperma come la fica di una vecchia puttana, forse non vorrebbero baciarti, cagna” “chissà come li fanno i bocchini. Insieme deve essere magnifico, mentre una lo tiene in bocca, l'altra potrebbe leccarti le palle, che ne pensi zoccola” Sentii dire al Padrone, rivolta alla Padrona "La tua bellezza è inferiore solo alla tua crudeltà" Lei si sedette, arretrando un poco e tirò a se le gambe incrociate, esponendo, senza un'ombra di pudore, la sua fica alla piena luce del sole. A gambe aperte le sue grandi labbra, ben rasate, si separavano rivelando l'interno della vulva, lucido di umori. La striscia di peli scendeva sul suo pube terminando sulla Clito gonfia. Continuò a parlarmi - Cosa fai, guardi la mia fica? Non eri interessato a quelle due? La brunetta deve essere spagnola. Un bocchino dalla spagnola e una bella inculata alla bionda, magari mentre la bruna ti lecca quel tuo culo rotto. Intanto le ragazze si erano messe a pancia sotto ed i loro culetti si stagliavano contro il mare. La bruna lo aveva alto e sodo mentre la quello della bionda era a mandolino. - eccole con il culo all'aria, pronte a essere inculate. O lo vorresti tu in culo da loro, troia. Non sapevo se augurarmi che se ne andassero o che restassero. Comunque, dopo un tempo che mi parve interminabile le due ragazze si alzarono, infilarono i costumi ed andarono via. La Padrone rimosse il fermacapelli e disse - allontanati da me troia, puzzi come la cagna in calore che sei. Fra il sole e il fermacapelli effettivamente avevo sudato abbondantemente. Mi allontanai, sedendomi sul bagnasciuga, poi decisi di tuffarmi a mare. L'acqua salata fece bruciare le piccole abrasioni, procurate dal fermacapelli, sul glande. Tornati alla villetta la Padrona disse, mentre Il Padrone la guardava compiaciuto - sono le sedici, e fra un'ora vengono la cuoca e la cameriera; alle venti, come vanno via, vieni in camera da letto. Sarai "cagna" per diciotto ore. Hai tre ore di tempo per immedesimarti bene nel tuo ruolo. Questa volta saremo severissimi, se sbaglierai. Andai in camera da letto. Qualche volta "giocavamo" per "scene". Cioè i Padroni, in prevalenza per punizione, mi indicavano un personaggio, o una cosa, da interpretare ed il tempo: avevo impersonato "la domestica troia", "il candelabro basso e alto", "il bidè", "la puttana". Il "candelabro basso" consisteva nello stare a terra sdraiato sulla schiena, braccia dietro alle spalle e le mani che spingevano in alto il bacino, ed il culo, in alto e abbassando le cosce sul mio petto. Le gambe, in quella posizione, restavano verticali con la pianta dei piedi in alto. Sembravo esattamente un candelabro; da qui il nome. Nel mio ano, cosi esposto mettevano una candela che poi accendevano. Le gocce di cera scendevano lungo la candela per fermarsi attorno al mio ano, sempre ché non mi muovessi, cosa impossibile. Allora le gocce di cera cadevano sullo scroto, o sul coccige, o sui glutei. Per fortuna avevo subito, quella che era fisicamente, oltre che psicologica come altri castighi, una dura punizione solo due volte. Il tempo trascorse e la sveglia segnava le diciannove e quaranta. Mi alzai dal letto, la solita doccia, indossai collare con guinzaglio ed i bracciali ed erano le venti quando con il viso, o meglio il muso, spinsi la porta per entrare nella camera dei Padroni. I Padroni si stavano vestendo. La Padrona in bagno, con la porta semichiusa stava truccandosi. Restai fermo carponi vicino alla porta. - ecco la nostra cagnetta, caro, sentii dire dalla Padrona rivolta al Padrone. - la vedo triste. Non ci fa nemmeno le feste, come fanno sempre i cani ai Padroni. Dobbiamo tenerla più tempo con noi. Capii che si aspettava qualcosa. Pensai un momento poi mi mossi verso di Lei, che protese la mano per carezzare la testa. Cominciai a abbaiare ed a leccare la mano, come un cane. - Vedi caro, sembra abbia capito. Mi spostai verso il Padrone, alzandomi sulle gambe posteriori per leccare la sua mano - Buona stai buona - disse, esattamente come si può dire ad un cane. Terminarono di vestirsi e scesero in giardino, dove la cameriera aveva già apparecchiato. Mi fermai davanti alla rampa di scale. Dovevo scendere carponi? Era meglio non rischiare una nuova punizione per aver interpretato male il ruolo. A fatica scesi dietro di loro. I Padroni erano già a tavola e stavano iniziando a mangiare. Fra loro, a terra, vi erano le due scodelle per il cane, cioè per me. Una era piena d'acqua e l'altra di riso bollito. Mi avvicinai, e cominciai a mangiare il riso. Era freddo e leggermente salato. - La nostra cagnetta. Ha fame, disse la Padrona, carezzandomi la testa. Sollevai la testa e le leccai la mano, come avrebbe fatto un cane. - sempre a leccare. Però sono contenta che dimostri la tua gratitudine. Durante la cena il Padrone gettò nella scodella del formaggio ed un piccolo pesce fritto. Il riso, leggermente salato, ed il formaggio mi fecero bere in abbondanza. Terminarono di cenare e si sedettero sulle sdraio a bere un liquore. Sentii dire dalla Padrona - teniamo il cane in camera con noi, stanotte. Era così moggia quando è entrata in camera, disse con tono falsamente amorevole la Padrona; proseguì - lo sai che non ho capito mai bene di che sesso è il nostro cane? Sento che è una cagna, però vedo anche che ha un pisello. - mah, ora prima di andare a letto deve fare i bisognini. Se alza la gamba, come dovrebbe fare avendo il pisello, è maschio. Non mi risulta che ci siano cani gay, rispose Lui ridendo. Capii che dovevo pisciare come un cane. Poco dopo il Padrone si alzò e, presa la mia briglia, mi porto verso un angolo del giardino. Decisi che ero maschio, anche se la Padrona mi chiamava prevalentemente "cagnetta" per cui alzai un po' la gamba e orinai contro il muretto. In camera da letto, dopo aver risalito le scale carponi, cosa molto più facile che scenderle, la Padrona mi spinse in un angolo. - Dobbiamo prenderemo delle vitamine; con questo caldo sono necessarie. Lo sai che basta una pasticca di vitamine per rendere l'orina insopportabile, sia nell'odore che nel gusto? La Padrona parlava col Padrone, ma era con me che comunicava. Mi stava dicendo che avrei dovuto bere la sua piscia, come quella volta che fui obbligato quasi con la forza. E non sarebbe stata neanche insapore, come mi aveva detto, spiegandomi il "pissing". Ricordavo con precisione cosa mi aveva insegnato: "Non è bello pisciare un liquido maleodorante e stantio" Voleva punirmi, duramente, la Padrona. Mi addormentai, sdraiato a terra, senza nemmeno un cuscino. La Padrona aveva gettato a terra solo un lenzuolo. L'aria era calda e non ebbi freddo. Mi svegliai tutto indolenzito per la notte trascorsa a dormire a terra. Avevo sete e dovevo andare in bagno. Impiegai qualche momento a ricordare perché stavo lì a terra. Guardai fuori dalla finestra e vidi che il sole era già alto. Guardai verso il letto e vidi che Padroni erano svegli e stavano bevendo il caffè. Ero incerto su cosa fare. Quando un cane si sveglia nella camera del padrone cosa fa? Abbaia e mugola per essere portato fuori. Mi avvicinai ai piedi del letto, senza dare la preferenza a nessuno dei due lati, e mugolai, inframmezzando qualche "bau, bau" - avrà sete e dovrà fare i suoi bisogni, povera cagnolina, sentii dire alla Padrona Capii perché mi aveva tenuto in camera. Voleva controllarmi in modo che non potessi andare di corpo. - alziamoci, caro. Portiamola in giardino. Il Padrone si alzò e, indossato un pantaloncino, afferrò il guinzaglio e scendemmo in giardino. Di nuovo scesi le scale carponi. La Padrona ci aveva preceduto ed era già sulla sua sdraio. Sul tavolino, fra le due sdraio, vi era la colazione. Il Padrone mi condusse in un angolo lontano del vasto giardino. A terra vidi un monticello di terra ed una buca a fianco. La presenza della buca indicava che volevano che facessi i miei bisogni davanti a loro. Non avevo mai defecato in loro presenza. Pensai di ignorare l'invito. In fondo un cane poteva anche essere un po' stitico. L'urina premeva la mia vescica, per cui, come la sera prima, sollevai un poco una gamba per fare una lunga pipì . Il Padrone si era allontanato sedendosi sulla sua sdraio. Entrambi mi osservavano da lontano. Il mio bisogno di evacuare cominciava a farsi sentire, ero regolare nelle mie funzioni corporali. Strinsi i denti e mi spostai verso le sdraio. Mugolai. - ha qualcosa, la nostra cagnetta, caro. Hai visto, ha pisciato ma non ha evacuato. Non vorrei che fosse imbarazzata di corpo; attendiamo un poco. Se non la fa, le facciamo un bel clistere di acqua e sapone. Ero incastrato. Dovevo per forza andare di corpo davanti loro. Volente o, col clistere, nolente. Emisi un guaito, cercando di impietosirla. Ma sapevo che non ci sarebbe stato verso. Restai un po' fermo, a quattro zampe poi mi avviai verso la buca. Leccare il mio sperma, spompinare il Padrone, farmi inculare da Lei o da Lui, erano stati atti che avevo fatto, o subito, con maggiore o minore con difficoltà ma espellere le feci davanti a loro era la più intima delle azioni. Tanto istintivamente riservata che persino i figli piccoli hanno vergogna a farlo davanti alla madre. Lei era stata chiara: "Se non la fai, ti facciamo un bel clistere di acqua e sapone." Sarebbe stato peggio. Mi portai alla buca, ovviamente sempre carponi, aprii un poco le gambe cercando di fra trovare il mio culo sulla buca e... cominciai a premere. Loro si alzarono e si avvicinarono, mantenendosi a sufficiente distanza dalla eventuale puzza. - Vedi caro, sta bene la nostra cagnetta. La sta facendo. Lo stronzo che stava per uscire si blocco a metà strada. Ripresi a spingere. - Guarda, caro, che stronzo. Deve essere stato il riso di ieri sera che ha fatto da astringente. Aveva pensato anche a farmi mangiare riso. Sentivo lo stronzo caldo che sfiorava i glutei e si piegava per cadere. Guardai fra le mie gambe e lo vidi cadere nella buca. Sentivo il viso rosso fuoco; da parecchio non provavo tanta vergogna. I Padroni si erano allontanati tornando sulle sdraio. Con la zampa chiusi la buca col monticello di terra che era a fianco e tornai fra le sdraio. Avevo una sete terribile. Non avevo bevuto nulla da quando ero sveglio, ed il sole cominciava a picchiare forte. Guaii guardando la fontana del giardino. - non fa altro che mugolare questa cagna. Ora avrà sete, forse. Riempi la ciotola dell'acqua - non mi va di alzarmi, cara. Però credo che dovrò farlo perché devo orinare - Fai così. Orina nella ciotola, così ti liberi e dai dell'acqua al cane. In fondo era un cane randagio, prima che l'accogliessimo con noi, pensa cosa doveva bere per strada. - Ottima idea, cara. Il Padrone si sollevò dalla sdraio e, avvicinata la ciotola, vi pisciò dentro. Accucciato, vedevo quel zampillo giallo riempire la ciotola. - E' sufficiente caro, disse la Padrona, o devo riempirla anche io? Senza attendere risposta si alzò e si mise sulla ciotola, a gambe aperte. Un spruzzo ancora più potente del Padrone scaturì fra le sue gambe. Guardavo come ipnotizzato la schiuma biancastra che si formava nella ciotola. Verso la fine della minzione la potenza del getto diminuì, bagnandole le cosce e le gambe. - che sbadata. Mi sono pisciata addosso. Per fortuna che abbiamo la nostra cagnetta. Si abbasso a prendere il guinzaglio e mi tirò verso la sua sdraio, sulla quale tornò a distendersi, lasciando le gambe aperte. Cominciai a leccare dai piedi, salendo. Mi fermai a lungo sulle dita, che sapevo piaceva molto alla Padrona. Il piscio di cui si era bagnata era insopportabilmente salato e pizzicante. Il suo odore era fortissimo e sgradevole. Era semplicemente disgustoso. Un brivido mi attraversò il corpo, mentre pensavo alla ciotola. Facendomi forza leccai bene le cosce e stavo cominciando a pulire la vulva quando Lei mi allontanò. - Fatti pulire anche tu, disse rivolto al Padrone, mentre con il guinzaglio mi spingeva verso il pube del Padrone. Aprii la bocca e leccai la cappella del Padrone. Era ancora, se possibile, più salata. Il Padrone mi spinse, facendomi spostare verso la scodella. La sete aveva asciugato la mia bocca. Avevo la lingua come carta vetrata, ma non avevo il coraggio di bere il loro piscio mischiato, in quella scodella. La Padrona si alzò e venne verso di me. Mise la sua mano sulla mia testa e cominciò a premere, spingendola verso la scodella. Opposi resistenza mentre la sentivo dire - bevi, cagnetta mia. Hai sete, no? Perché non vuoi bere? La mano premeva con maggiore forza. Ero quasi a contatto del liquido, che intanto cominciava a puzzare. Vidi il Padrone alzarsi ed avvicinarsi. - Cara, non la forzare. Se non beve non ne avrà voglia. La mano continuava a premere, con una forza che non credevo possedesse. Oramai la mia bocca era a contatto del liquido, quando il Padrone avvicinatosi, come per disattenzione, dette un colpo col piede alla scodella, bagnando tutto il mio viso ma almeno rovesciandola. - Caro, ma che hai fatto. Stai un po' più attento. Hai sporcato la nostra cagnetta. Forse conviene lavarla con la pompa, ora. - disse la Padrona. Il Padrone rise e si alzò a prendere la pompa dell'acqua. Diresse il getto d'acqua sul mio viso. Colsi l'occasione per bere. Il sapore del loro nauseabondo piscio permaneva nella mia bocca, sulla mia lingua. Poi pensai che avevo l'ano ed i glutei sporchi e mi spostai facendo in modo che il getto cadesse sulle natiche cercando di aprire i glutei per agevolare il lavaggio. - è proprio una cagnetta intelligente caro. Hai visto come si è lavata tutta, disse la Padrona Altre tre ore circa e sarebbe finita la punizione. Passarono senza che dovessi eseguire altro. La punizione era terminata. Andai in camera a farmi una doccia, Il Padrone chiamò il tassista ed andammo al porto, dove prendemmo il motoscafo per fare il bagno in mare aperto. La Padrona mi concesse di leccarle la fica, sdraiata su una poltrona galleggiante da mare, godendo nella mia bocca, mentre il Padrone, in acqua dietro di me, mi inculava col suo cazzo, che, eccezionalmente, visto che voleva farlo in acqua, mi aveva permesso di ungere con una crema emolliente.>
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:27
Cap XI
L'intenso piacere della Padrona, mentre mi usava come dildo, contemporaneamente al Padrone che mi usava come una donna, mi stupì. Supino sul letto, con dei cuscini sotto ai reni che tenevano sollevato il mio bacino, ed il mio culo quasi sul bordo, La Padrona mi usava cavalcando il mio pene, dando le spalle al mio viso, abbracciando e baciando il Padrone che, contemporaneamente, mi inculava con aggressività. Sentivo che i colpi del Padrone così precisi e forti da ripercuotersi sul mio cazzo, quasi che il Padrone scopasse la Padrona utilizzando però il mio membro. Sentivo la Padrona raggiungere orgasmi continui e traboccanti, fino a bagnare i miei testicoli. Oramai ero perfettamente in grado, obbedendo agli ordini, di non muovermi assolutamente e, ovviamente di non permettermi di eiaculare. Solo una volta accadde che godessi nella Padrona. Il Padrone mi aveva usato e, dopo aver goduto dentro di me, si era allontanato. La Padrona, invece, restò su di me completamente seduta, continuando a muovere il bacino in senso rotatorio. Mi rilassai un solo istante, ma bastò a perdere il controllo. Mi sentì eiaculare con violenza. La Padrona si fermò. Sentii il mio cazzo continuare a spruzzare il suo getto nella fica. La Padrona, senza farlo uscire, ruotò sul mio cazzo, e, restando seduta, mi guardò. - come hai avuto l'audacia di godere grandissima puttana, - disse - ma oramai lo hai fatto! Goditi questi pochi istanti perché li pagherai amaramente - concluse con un riso beffardo e crudele. Lei dette ancora un paio di colpi di bacino poi avanzo su di me per portarsi sulla mia bocca. Sentii gocciolare i liquidi sullo stomaco e sul petto. Arrivata sulla mia testa si sedette completamente sulla mia bocca, facendo il modo che solo il mio naso sporgesse un poco per farmi respirare. Qualche pelo del suo pube, lateralmente rasato in modo da formare una striscia di peli al centro, mi solleticò le narici. - Lecca troia, puliscimi bene che poi parliamo delle punizioni che dovrai subire. La sua fica premeva, con tutto il peso del corpo, sulla mia bocca e le sue cosce mi stringevano la testa. Cominciai a succhiare con le mie labbra per togliere la maggior parte del liquido della Padrona, mischiato al mio sperma. Lei muoveva il bacino per far scendere meglio lo sperma che era dentro al suo utero. Ingoiai e cominciai a leccare per pulire. Mentre pulivo con la lingua la sua fica pensai che mi aveva preso di nuovo "in castagna". Cioè aveva fatto in modo che facessi uno sbaglio. Si era trattenuta appositamente su di me, sapendo che, nel momento che il Padrone ritirava il suo membro dal mio intestino, mi sarei abbandonato un momento; e così era successo, e Lei continuando a muoversi sul mio cazzo mi aveva fatto godere. La mia Padrona? Una grande puttana. Quale punizione mi attendeva? Mentre pensavo, cercando comunque di essere attento a leccare con attenzione, perché la Padrona si accorgeva subito se ero distratto o disattento mentre eseguivo un ordine, Lei si alzò, liberando il mio viso. Trassi un profondo respiro con la bocca e mi pulii le labbra con la lingua. Con noncuranza la Padrona mi ordinò di alzarmi e disse di andare a prepararmi che saremmo usciti con il motoscafo. Era molto presto, saranno state le nove del mattino, e l'idea di prendere il motoscafo mi stupì: di solito uscivamo molto più tardi. La motoretta venne a prenderci e ci portò al molo, dove salimmo sul motoscafo. Partimmo e la Padrona disse - ho sete, schiavo. Nella borsa termica ci sono due bottiglie di champagne: aprine una e versaci da bere. Restai un po' sorpreso dell'ordine. non del comando in se stesso ma che non mi avesse chiesto se avessi sete, con quel caldo. Eseguii e servii ai Padroni due coppe di champagne, che subito mi fecero riempire di nuovo. Vedendoli bere, avvertii anch'io sete e chiesi - ho sete, posso bere anche io? La Padrona disse - hai sete? stai dicendo che uno schiavo, per di più in punizione, vorrebbe bere dello champagne? Hai dimenticato quello che hai osato fare stamattina? In un istante mi fu chiaro. Stava preparando la mia punizione. - no Padrona. Non oserei. Posso bere dell'acqua? - certo. Non si può rifiutare ad uno schiavo di bere dell'acqua, neanche se è in punizione. Aprii la borsa... e mi accorsi che non c'erano bottiglie d'acqua. - Padrona, non ci sono bottiglie d'acqua. - mi sarò distratta nel riempirla. Pazienza schiavo, se non c'è acqua per te... - si Padrona - risposi. Arrivammo al largo e facemmo il bagno. Risaliti a bordo mi sdraiai, come al solito nudo, sul prendisole. Dopo qualche momento ricevetti l'ordine di riempire ancora le coppe di champagne. La sete cominciava a tormentarmi. Nel fare il bagno, prima, avevo anche bevuto un po': Il sole e l'acqua salata stavano facendo il loro effetto. Guardai la Padrona, implorandola con gli occhi. Lei mi guardò e, avvicinando la coppa alle labbra, fece un lungo e lento sorso di champagne. Mentre la guardavo, ricordai la prima volta che con Lei avevo parlato di SadoMasochismo: aveva parlato della "volgarità" ed aveva detto qualcosa a proposito dello spumante. Si, ricordavo "se voglio pisciare in bocca al mio schiavo provvedo ad andare in bagno un'oretta prima e poi bevo molto the aromatizzato o meglio ancora dello spumante." Allora era questa la punizione. Voleva mettermi in condizione di ... Passò un po' di tempo, mentre il sole si faceva sempre più caldo e Il Padrone mi ordinò di prendere dei biscotti e di portarglieli. La Padrona mi guadava, forse cercando di capire quanta sete avessi. Poi disse - schiavo, ci sono dei biscotti anche per te. Apri la borsa. Aprii e vidi una confezione di biscottini salati. Richiusi la borsa. - cos'è? Rifiuti l'offerta della tua amorevole Padrona? Non vorrai che abbia lo scrupolo di averti fatto morire di fame. Mangiali. E' un ordine. Riaprii la borsa e presi la confezione, aprendola. Cominciai a mangiare. La bocca era asciutta, ma i biscotti diedero al momento un po' di sollievo. Bastarono pochi minuti, dopo averli terminati, perché la sete diventasse insopportabile. - Padrona, ho molta sete. - dissi - acqua non c'è. L'unica acqua è quella del mare. - rispose continuando a sorseggiare lo champagne Proseguì rivolta al Padrone - caro, come si può fare? Il nostro schiavo ha sete. - poi, come se avesse ricordato qualcosa continuò - ma sì caro. L'altra volta la nostra cagnolina aveva sete... ricordi? Avevi anche preso le vitamine e pure la facemmo dissetare con il nostro piscio. Ora stai anche bevendo champagne, non deve essere così sgradevole. Li guardavo recitare la scenetta che certamente avevano concordato. L'altra volta il Padrone aveva, forse intenzionalmente, fatto rovesciare la scodella del loro piscio. Evidentemente la Padrona era rimasta insoddisfatta. Voleva che bevessi la sua piscia. Guardai la Padrona e capii che non sarei riuscito a sottrarmi ala punizione; aveva predisposto tutto dalla mattina, cominciando a mettermi nella condizione di godere dentro di Lei, per potermi punire, finendo col non portare l'acqua. Carponi mi avvicinai al Padrone. Al suo cospetto aprii la bocca. "Prima le Signore" disse il Padrone. Mi spostai verso la Padrona, che si stava sfilando il costume. Restai in ginocchio, in attesa davanti a Lei. - Brava cessa. Avvicina la bocca e stai attenta a non farne uscire neanche una goccia. Avvicinai la bocca alla vulva e sentii il getto caldo del suo piscio in bocca. Cominciai ad ingoiare, bevendo a "garganella", senza il tempo neanche di sentirne il sapore. Continuò pisciandomi in bocca almeno un quarto di litro; ingoiavo continuamente e velocemente per non farla uscire. - ha... non ne potevo più. - sentii dire alla Padrona - puttana, pulisci bene e vai a bere dal Padrone. Ora potevo sentire il gusto dell'urina della Padrona: non era gradevole ma neanche insopportabile, come l'altra volta. Mi spostai carponi e, dinnanzi al Padrone aprii la bocca. Il Padrone fece cadere il costume ed avvicinò il suo pene alla mia bocca. Cominciò a urinare con un getto forte e preciso, che andava direttamente in gola. Bevvi per un tempo che mi parve interminabile; dopodiché, quando il getto divenne più lento e andava terminando estrassi la lingua per pulirlo. Da ché avevo sete ora avevo la pancia piena d'acqua, o più esattamente di piscio. Nell'asciugare con la lingua il pene, lo sentii ingrossarsi ed il Padrone disse - troia, stai ferma con la bocca aperta, la lingua fuori e appoggia le mani a terra. Voglio chiavarti la bocca. Eseguii ed attesi. Il Padrone introdusse il suo cazzo e cominciò a scoparmi la bocca, con colpi forti, spingendo il suo cazzo fino in gola. Lo sentivo ingrossarsi mentre entrava ed usciva dalla mia bocca usata come una fica, o come il mio culo. Il Padrone doveva essere molto eccitato; poco dopo eiaculò con forza, colpendo direttamente la mia gola con il suo sperma, facendomi tossire e facendo uscire il cazzo dalla bocca, che, continuando a schizzare, mi riempì il viso di sperma.
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:27
Cap XII
Una mattina, mentre eravamo seduti tutti a tavola per la colazione, La Padrona disse - stamattina vorremmo incontrare degli amici, anche loro con un motoscafo. Avremmo piacere se tu acconsentissi a farti usare da loro per un paio d'ore. Li guardai, prima Lei poi Lui. - lo so. Nei patti c'è il nostro divieto di cederti, ma si tratta solo di un paio d'ore e noi saremo vicini con il motoscafo. Sono persone di un certo livello, non ti preoccupare, con le quali abbiamo rapporti d'amicizia e d'affari. Non volevo spiacerle. In fondo, con quello che avevo subito non potevo avere grandi sorprese. - Si Padrona. Accetto. - Bene, disse il Padrone Terminammo di mangiare e, col taxi andammo al porto a prendere il motoscafo col quale ci dirigemmo in mare aperto. Dopo poco vedemmo avvicinare un'altro motoscafo, leggermente più grande. Prima che si avvicinasse troppo la Padrona salì sul prendisole e si avvicino a me, che ero sdraiato a pancia sotto. La sentii penetrarmi con un dito. Poi mi accorsi che stava ungendo il mio ano con della crema. Mi agganciò il guinzaglio e senza dire una parola si allontanò. Il motoscafo si ancorò affianco al nostro, ed i Padroni salirono a bordo. Poco dopo mi chiamarono, ordinando di salire. Come sempre ero nudo come un verme, e provai imbarazzo a farmi vedere così da due sconosciuti, ma gli schiavi sono oggetti, ricordai. Mi trasferii sul motoscafo e mi misi in posizione di attesa. Guardai gli amici dei Padroni. Lui sui 50/55 anni capelli neri brizzolati, sbarbato, un metro e settanta robusto e soprappeso, lei sui 40 anni rossa di capelli, alta un metro e sessantacinque, seno abbondante, anch'essa soprappeso. Loro mi guardarono, forse anch'essi imbarazzati. Il Padrone disse - Va bene. noi andiamo a fare un bagno poco lontano. Ve lo lasciamo. Si girò e, insieme alla Padrona, tornò sul suo motoscafo, che si allontanò ormeggiando poco lontano. Loro si sedettero all'ombra del tettuccio della cabina di pilotaggio e mi guardarono. Poi lui disse, rivolto alla moglie "dai, cara". Lei si sfilo il reggiseno e mi disse "vieni qui." Mi avvicinai e mi inginocchiai affianco alla poltroncina, dal lato opposto alla poltroncina di lui. Lei prese il guinzaglio e mi tirò verso gli abbondanti seni dalla pelle bianchissima. Avevano l'aureola rosa ed i capezzoli piccoli; voleva esserli succhiati e leccati. Sottocchio, mentre leccavo i seni insaporiti dal mare, vidi lui che si toglieva il costume. Fra le gambe aveva un mare di peli ed un cazzo, gonfio ma non eretto, un po' giù grande di quello del Padrone. Leccavo i seni ed i capezzoli, mentre lei se li univa per farmi succhiare entrambi i capezzoli. Poi lasciò andare i seni e si tolse lo slip. Prese il mio guinzaglio e spinse la mia testa fra le sue cosce. Il suo pube e la sua fica era pieni di peli rossicci. Era una rossa naturale. Avvicinai la bocca alla sua vulva e sentii che emanava un odore fortissimo. Era un odore strano. Si dice che le rosse abbiano un odore ed un sapore degli umori molto forte. Era vero. Infilai la lingua fra le grandi labbra e la sentii sussultare. I peli in bocca mi davano un enorme fastidio, a me che ero abituato alla vagina rasata della Padrona. Cominciai a leccare delicatamente la Clito, che subito cominciò a gonfiarsi. Mi accorsi che lui si era alzato ed aveva messo in bocca a lei il suo cazzo. Lei cominciò a dimenarsi sulla poltroncina, movendo il bacino in concomitanza ai miei colpi di lingua. Il suo sapore diventava sempre piu' forte e deciso; sentii il mio cazzo che si ingrossava. In fondo leccare una fica è sempre leccare una fica. Lei ora si muoveva alzando ed abbassando i glutei, in modo che la mia lingua passasse dalla fica all'ano e viceversa. Cacciai più che potei la lingua cercando di dare lunghe e larghe leccate. Volevo che i Padroni facessero bella figura, facendo vedere come avevano addestrato bene il loro schiavo. Lei si dimenava sempre più freneticamente, col cazzo di lui in bocca; la sentivo gemere. Poi lui si mosse e mise un preservativo, quindi si portò alle mie spalle, e, afferratomi per i fianchi, poggiò il suo glande contro il mio ano. Cercai di rilassare lo sfintere, e assecondai la sua spinta. La crema che la Padrona prudentemente aveva messo, agevolò l'entrata. Lui comincio a dare colpi lunghi e violenti, che si ripercuotevano nelle mie viscere ed anche sulla mia testa, che sbatteva con forza contro la fica di lei. Pensai che avrebbe goduto in poco tempo, ma mi sbagliavo. Continuavo a leccare, ed i colpi che ricevevo da dietro facevano sembrare la mia lingua un piccolo cazzo che entrava ed usciva dalla vulva della signora. Lei era quasi vicina all'orgasmo. Qualche altro colpo e venne, riempiendo la mia bocca con i suoi umori. Lui continuava a scoparmi il culo, ma senza farlo uscire ed entrare completamente, come amava fare il Padrone. Cominciavo ad avvertire il bruciore attorno all'ano. Continuò ancora finché con un ultimo violento colpo capii che aveva goduto. Lui ritrasse il suo cazzo e si abbandonò sulla sua poltroncina, mentre lei gustava, con dei gemiti, i miei ultimi colpi di lingua. Lui tolse il preservativo dal suo pene e lo gettò a mare. Fosse stato il Padrone avrei dovuto succhiarne il contenuto. - notevole - disse lei - si. vero - rispose il marito - forse è veramente comodo trovare uno schiavo - o una schiava - commentò lui. Poco dopo il motoscafo del Padrone si avvicinò. Mi ero rialzato ed ero in posizione d'attesa, con il mio membro semigonfio fra le gambe. I Padroni salirono a bordo. - torna sul nostro motoscafo. Se vuoi fai pure il bagno - disse la Padrona. - grazie Padrona. Mi piacque aver fatto ben figurare i Padroni. Tornai sul nostro scafo e mi buttai a mare, lavandomi e sciacquandomi la bocca. Prima di rientrare nel porto la Padrona mi fece avvicinare a Lei - vogliamo premiarti per la tua fiducia e obbedienza, piccola cagna sempre in calore. Mi fece sdraiare sul prendisole e mi bendò. Sentii le sue mani accarezzare il mio cazzo, che istantaneamente si inturgidì. Non avevo capito se era veramente un premio o la frase era ironica. - Rilassati e abbandonati. Puoi. Capii che veramente stavo ricevendo un premio. Stava masturbandomi con grazia e delicatezza. Le sue dita sembravano colpi di farfalla sul mio glande scoperto. Toccavano, giravano, accarezzavano, coprivano e scoprivano ora lentamente, ora repentinamente, il glande. Con il foulard che mi copriva gli occhi vedevo tutto rosso. Sentivo sul mio cazzo e sulle palle migliaia di dita contemporaneamente. Volevo godere, ma ero abituato ormai ad attendere l'ordine della Padrona. Lei continuava facendomi provare sensazioni da impazzire. Neanche io ero capace di farmi una sega in quel modo. Sentivo che si era unta un poco i palmi, e massaggiava il membro e la cappella in verticale ed in orizzontale, ora lentamente ora velocemente. Godetti ed il mio spruzzo ricadde sulla mia pancia. Sentii gli spasmi del mio cazzo farmi schizzare molte volte. Inarcai la schiena dal piacere. Non dovetti neanche leccarle le mani. Ero stato ricompensato della mia disponibilità, in deroga ai patti. Era stato semplice, quella volta essere il servo di quella coppia. Dei Padroni inesperti non sono nulla per uno schiavo bene addestrato. Non fu così con quelle altre due, le lesbiche. Non tanto perché lesbiche, ma perché erano donne.
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:28
Cap. XIII
Prendevamo il sole nell'insenatura privata della villetta. I Padroni sulle piccole sdraio da mare e me che preferivo stare sdraiato a pancia sotto. La Padrona mi chiese di passarle la sua borsa, da dove prese una sigaretta, che accese. Poi, rivolta al Padrone - ah, caro, stavo quasi dimenticando. Hanno telefonato quelle tue "due amichette" Il Padrone restò un attimo perplesso, poi con un'espressione di insofferenza rispose - Quelle due. Non potevo fare a meno di dire dove andavamo in vacanza. E ovviamente dovevo invitarle. Lo sai che sono una potenza, quelle due. - Non ti innervosire. Hanno detto che sono di passaggio e che sarebbero state liete di cenare con noi per poi continuare il loro viaggio domattina. Mentre parlavano, entrambi mi lanciavano sguardi indagatori. Non ci misi molto a capire che la manfrina era rivolta a me. Approfittai della pausa e dissi - scusatemi, se posso essere utile, disponete pure di me. Il Padrone mi guardò interrogatorio e disse - sono due lesbiche. E credo che non siano dolci di sale. - non ha importanza. Se volete potete farmi usare, non ho problemi. - risposi Lui mi guardo' e cambiò discorso. Tornammo alla villetta per pranzare e riposare un poco. Verso le diciotto e trenta fui svegliato dal bussare alla porta. Mi coprii e detti il permesso di entrare; pensavo fosse la cameriera giunta in anticipo. Invece era la Padrona. In quasi un mese era la prima volta che veniva, come anche il Padrone, nella mia camera. Stavo per alzarmi ma lei mi fermò. - Abbiamo pensato alla tua disponibilità per stasera, e ne siamo lieti. Devo dirti che sei diventato un vero schiavo. E' anche un complimento a me stessa ed al Padrone, perché evidentemente abbiamo insegnato bene. Comunque, "quelle" verranno a cena alle venti e trenta. Scendi alle ventuno. Indossa un pantalone ed una camicia, però. Ti comporterai da cameriere e servirai a tavola; quando rispondi a noi non dire "Padroni". Quando, e se, ti dirò "schiavo" tornerai a comportarti normalmente, cioè da schiavo. Sempre se hai deciso e vuoi, però. - concluse La guardai, e mi parve veramente sincera nel lasciarmi libero di decidere. - Si Padrona. Ho deciso. Va bene così. Lei mi guardò ed uscì. Mi stiracchiai. Avevo provato curiosità nei confronti delle lesbiche da sempre. Chissà perché i Padroni erano così perplessi per quelle due. In fondo mi avevano ceduto senza tante storie a quell'altra coppia. La Padrona non le vedeva di buon occhio, pensai. Le aveva appellate, con tono acido, "le amichette" e "quelle". Alle ventuno in punto scesi nel salone, ed uscii nel giardino. Erano tutti seduti sulle sdraio a conversare. Salutai genericamente con un "Buonasera" e mi diressi in cucina. Poco dopo venne la Padrona ad avvertirmi che potevo apparecchiare e portare in tavola le pietanze cucinate dalla cuoca. Eseguii l'ordine e, mentre loro cenavano in giardino mangiai in cucina. Nel portare le pietanze a tavola osservai "quelle". Una era magra e molto mascolina: capelli sale e pepe, occhi duri spiccavano in un viso tagliente. Estremamente magra aveva un seno quasi inesistente. Difficile stabilirne l'età; poteva oscillare da un minimo di 35 ad un massimo di 50 anni. L'altra, quarantenne e più formosa, capelli castani, viso insignificante ma non brutto, era il tipo di donna per la quale non ci si girava per strada, ma che se inciampava sulla strada di un uomo e si fosse dimostrata disponibile, poteva avere l'onore di essere scopata. Sentivo a tratti il loro sguardo su di me, mentre andavo e venivo. Ero estremamente curioso: cosa avevano detto i Padroni di me? Ero un cameriere, o uno schiavo? L'avviso della Padrona di non pronunciare la parola "Padroni" indicava che... ma forse volevano prima appurare... Nel servire il caffè mi accorsi che la "castana" stava preparando del "fumo"; i Padroni "fumavano" molto occasionalmente ed ero stato introdotto da loro alla pratica, che trovavo divertente e rilassante, nelle poche volte che lo avevamo fatto. Mi accorsi che quando mi avvicinavo sospendevano la discussione, e notai che mentre la castana mi osservava incuriosita, la "sale e pepe" aveva un'espressione contrariata. Ero in cucina, quando sentii la voce della Padrona chiamarmi - schiavo, vieni qui. Uscii dalla cucina e mi avvicinai alle sdraio, mantenendomi a distanza; avendomi chiamato con la parola "schiavo" risposi - si, Padrona - stanotte servirai le nostre ospiti. - si Padrona - vai in camera tua a prepararti e ritorna qui. - va bene Padrona - puoi andare - si Padrona Mi girai ed andai in camera a spogliarmi. Una veloce doccia ed indossai i bracciali ed il collare, allacciando il guinzaglio. Stavo per scendere le scale, quando ricordai l'azione della Padrona sul motoscafo, prima di "consegnarmi" alla coppia. Tornai in camera da letto e mi spalmai un'abbondante dose di crema lubrificante nell'ano. Scesi le scale e mi presentai in giardino, mettendomi in posizione di attesa a rispettosa distanza. L'estate stava finendo, e alla sera cominciava a rinfrescare. Un brivido di freddo mi attraversò la schiena. La "sale e pepe" stava terminando una frase "...opportuno. Ma se proprio vuoi." Il Padrone si alzò, si avvicinò e prese il guinzaglio. Lo seguii dalla "sale e pepe" - Tieni. Poi, rivolto a me - accucciati. Mi misi carponi, fra la sdraio della "sale e pepe" e quella della castana. La "sale e pepe" lascio cadere il guinzaglio a terra. La castana mi osservava con curiosità. I suoi occhi erano lucidi. Continuarono a parlare, mentre la Padrona serviva ancora del liquore. La castana cominciava a mostrare una certa impazienza; parlava velocemente ed a scatti, mentre la "sale e pepe" aveva assunto un'aria petulante. Poco dopo si congedarono per la notte. Seguii "quelle" fino alla loro camera da letto. La "sale e pepe" mi ordinò di attendere fuori alla porta. Loro entrarono e chiusero la porta. Le sentivo discutere, indistintamente, a basa voce. Dovettero trascorrere almeno dieci minuti, prima che si aprisse la porta. La castana mi fece cenno di entrare; indossava una corta sottoveste sotto alla quale si intravedeva lo slip. Era senza reggiseno. La "sale e pepe" era seduta nella poltroncina, in un angolo, affianco al comò. La stanza era illuminata solo dalla fioca luce di un lume su un comodino. Chiusi la porta, e rimasi in ad attendere. Era evidente che la castana non sapeva cosa fare e la "sale e pepe" doveva essere contraria alla mia presenza. La castana mi osservava l'inguine. Forse non aveva mai visto un maschio col pube depilato. Poi disse la frase che aveva sentito dire al Padrone - accucciati Mi misi carponi, mentre lei si sedeva sul letto, nella parte dei piedi. Passo qualche minuto, poi la castana chiese - così tu sei uno schiavo. E cosa fa uno schiavo? - esegue gli ordini, Signora. Nell'ambito dei limiti concordati, Signora. - cosa intendi dire - che la Signora può ordinarmi di fare qualsiasi cosa, escluso cose poco igieniche come la coprofagia, o che procurino ferite o danno al mio corpo. La castana rimase a pensare, mentre sentivo lo sguardo della "sale e pepe" su di me. Uno sguardo che rasentava l'odio. Il mio inconscio mi impediva di rispondere con la parola "Padrona". A loro, che non erano i miei Padroni, preferivo dire "Signora", anche se "Signora" era più indicata come sinonimo di "Dominatrice" La "sale e pepe" si accese una sigaretta. La castana disse - avvicinati, e sfilami lo slip con la bocca. Mi avvicinai a lei che si era alzata, e con un po' di difficoltà abbassai lo slip. Mentre ero ai suoi piedi per terminare di sfilarlo, sentii il suo piede che premeva contro la mia bocca. Forse voleva che lo baciassi. Lei continuò a farlo strusciare contro la mia bocca. Cominciai a leccare. Lei si sedette sul letto, mentre passavo la mia lingua da un piede all'altro. Lei prese il guinzaglio, e lasciandosi cadere, si sdraio tirando il guinzaglio. Cominciai a salire lungo le gambe, con larghi colpi di lingua. Assecondando la trazione del guinzaglio mi trovai con la bocca sulla sua vulva. Era già umida quando introdussi la lingua. Ero carponi, ai piedi del letto, leccando, quando sentii dire alla "sale e pepe", con voce dura, "E va bene. La hai avuta vinta un'altra volta!" Girai lievemente la testa mentre continuavo a passare la lingua sulla e dentro alla fica. La "sale e pepe" si stava spogliando. Non potevo vederla bene e la luce era fioca; aveva realmente un corpo molto magro e mascolino. Due piccoli seni sgonfi pendevano dal suo torace. La vidi aprire una valigia, poggiata su una piccola panca, ed estrarre una cintura con fallo. Passò i lacci attorno ai fianchi e fra le gambe, agganciandosi il fallo. Ebbi l'impressione, poi purtroppo confermato, che fosse parecchio più grande di qualsiasi cazzo, vero o finto, che avessi preso fino a quel momento. Si avvicino e disse - sali sul letto e resta in ginocchio, continuando a leccarla. Salii sul letto, mettendomi carponi ed allargando le gambe per farla accomodare dietro di me. Poggiò il fallo contro il mio ano e spinse con violenza. Stava sfogando la sua disapprovazione con me. Forse voleva costringermi ad arrendermi ed ad andarmene da quella camera da letto. Forse aveva paura del confronto, che la castana poteva fare, fra me e lei. Il grosso fallo entro violentemente. Per fortuna mi ero ben unto, prima, in camera mia. Ma lei non lo sapeva; era sua intenzione farmi male. Cominciò a stantuffare velocemente e con violenza. Sentivo quel fallo lacerarmi dentro, senza alcun pensiero per me. Strinsi i denti, mentre rallentavo il lavoro della mia lingua sulla fica della castana. Mi sfuggì un gemito. - ti lamenti, porco? Non hai detto che puoi subire tutto quello che vogliamo? E allora, subisci in silenzio Riprese a muovere nel mio intestino quel grosso dildo con, se possibile, ancora maggiore violenza. Il dolore mi aveva fatto diminuire il lavoro di bocca sulla castana, che se ne accorse e tirò il guinzaglio, cercando di sottrarmi alla "sale e pepe", tirandomi su di sé, come se volesse farsi penetrare dal mio cazzo, gonfio ma non eretto. La "sale e pepe" si vide sottrarre i miei glutei dalle sue mani, e capì l'intento della castana - non vorrai farti penetrare da questo maiale. O almeno fagli mettere un preservativo. Non voglio che ti sporchi con il suo sperma Senza attendere risposta, rivolta a me - vai a prendere in preservativo, verme - non ne ho, signora. Ma se si tratta del mio sperma, io eiaculo solo dopo averne ricevuto il permesso. Le mie parole la lasciarono qualche secondo in silenzio, poi disse - Non ci credo. Non è possibile, per un uomo, fare questo - io ci riesco, Signora. La castana aveva seguito il discorso, e rivolgendosi alla "sale e pepe" disse "gli credo" e riprese a tirare il guinzaglio trascinandomi su di lei. La "sale e pepe" si spostò, in ginocchio sul letto, mettendosi affianco della castana e, preso il guinzaglio dalle mani della castana, mi tirò verso di sé ponendo davanti alla mia bocca il dildo. Non era sporco dei miei escrementi, grazie alle mie "pulizie" del mattino, ma era comunque stato nel mio culo ed era venato di strisce di liquido prodotto dalle mie ghiandole. - puliscilo con la lingua, maiale Pensai che potevo risponderle che era oltre i limiti. Avrei potuto dire "signora, non posso fare questo. È come se fosse coprofagia." Poi considerai che le offrivo l'opportunità per mandarmi via. Era chiaro che lei non voleva questa "sessione". Decisi che non volevo darle nessuna possibilità e risposi - si, Signora Chiusi gli occhi e avvicinai la bocca al fallo; era tanto grande che solo una parte del finto glande entrò in bocca. Era la prima, e unica volta, che avevo contatto orale con qualcosa che mi aveva penetrato. Sulla lingua sentii un sapore dolciastro e le venature di liquido erano viscide e salate come il muco del naso. Lei lo estrasse dalla mia bocca e lo passò in tutta la sua lunghezza contro la mia bocca, facendomelo pulire. Nella penombra non potevo distinguere bene la sua espressione, ma percepii la sua esitazione. La castana, approfittando della pausa, riprese il guinzaglio e mi tiro su di sé facendo in modo che fossi in posizione per penetrarla. Cominciò a muovere il suo bacino contro di me, stimolando il mio pene con la sua vulva. In un momento il mio fallo la penetrò. - muoviti - disse la castana Mi poggiai sui gomiti, in modo da non toccarla con nessun'altra parte del corpo, come mi aveva in segnato la Padrona, e cominciai a muovermi, scopandola La castana doveva essere bisex, evidentemente. La sua vagina era larga e ben lubrificata. Certamente anche lei aveva ricevuto quel fallo, che, col tempo, l'aveva slabbrata. Si muoveva, contorcendosi, sotto gli occhi della sua amante. Intuii che stava godendo. Erano bastato pochissimo tempo; forse desiderava un membro vero da troppo tempo. Intanto la "sale e pepe" aveva preso dal comodino un contenitore e ne estrasse un fazzolettino disinfettante mono uso, di quelli pronti all'uso. Aprì la bustina e passò il fazzolettino sul fallo che indossava. Poi dovette accorgersi dell'orgasmo della sua compagna, e infilate due dita nel mio collare mi strattonò, ordinando di mettermi supino. Le sue dita non abbandonavano la presa sul collare, stringendomelo alla gola. Mi sdraiai, con le gambe che uscivano dal letto e toccavano terra. Si mosse e si mise in ginocchio sulla mia testa, in modo da dare le spalle al mio corpo. Sentivo l'odore della sua vagina; sgradevole e rancido. Probabilmente non si era neanche rinfrescata in bagno, a differenza della castana. Si abbassò, mettendo la vagina a contatto della mia bocca. Era asciutta e floscia. La sentì dire "lecca, verme" mentre spostava i lacci del dildo, facendoli passare all'esterno delle grandi labbra Con uno sforzo la mia lingua cominciò a lambire quella vulva. Intanto aveva tirato di fronte a se la castana e la sentii manovrare affinché la castana, abbracciandola frontalmente, si facesse penetrare dal dildo. Sentii la castana gemere, non so se per il piacere o per dolore di quel fallo, e la "sale e pepe" cominciò a muoversi sulla mia bocca, strofinando alternativamente la vagina e l'ano, scopando contemporaneamente la sua compagna. Era incurante di me, quando in corrispondenza della mia bocca emise una scoreggia. Un tanfo mi assalii le narici. Trattenei il respiro nella speranza che passasse, ma appena dovetti trarre un profondo respiro per non asfissiare, sentii una lunga scoreggia, risucchiata dal mio profondo respiro, penetrare nei miei polmoni. Mi sembrava di essere entrato in un porcile; avvertivo un diffuso pizzicore in tutta la bocca. Quella arpia aveva doveva aver calcolato quanto era avvenuto. La sentivo incitare la castana a muoversi, a godere, a baciarla. Mi ripresi, mentre l'aria tornava a farsi respirabile e intuii, dal quel poco di umidità della vagina, che aveva raggiunto il suo orgasmo. Infatti poco dopo si alzò, e spingendomi con un piede mi spinse giù dal letto, sul quale si distese, affianco alla castana. Teneva ancora allacciato il dildo; nella penombra, quella magra figura, con quell'affare enorme che si ergeva, era inquietante. Restai a terra, quasi carponi, in attesa. Poco dopo la "sale e pepe" disse - vattene, porco maiale schifoso Mi alzai e uscii. Nel bagno della mia camera mi lavai la bocca ed i denti per dieci minuti. Non avevo goduto, avevo subito delle umiliazioni anche estremamente volgari, ma ero soddisfatto del mio operato. Per un momento ebbi compassione della compagna di quella megera. Mentre scivolavo nel sonno ricordai le parole della Padrona "troietta mia diventerai una vera puttana". Ero diventato uno schiavo. E una puttana. Come mi aveva promesso.
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:28
Cap. XIV
Mi svegliai naturalmente. Il sole era alto nel cielo. Mi lavai, ed essendo il cicalino rimasto muto, infilai una camicia ed un pantaloncino. Scesi in giardino. Le ospiti erano già andate via ed i Padroni erano a tavola facendo colazione. Il mio posto, come sempre quando il cicalino non si faceva sentire, era gia preparato. Salutai, mi sedetti e cominciai la mia colazione. Dopo aver terminato l'argomento di cui stavano parlando, la Padrona disse - racconta. Tutto e nei minimi dettagli. Raccontai le ore trascorse con le lesbiche nei minimi dettagli, senza, naturalmente, alcuna vergogna. Mentre parlavo coglievo le espressioni dei loro visi, indubbiamente di disapprovazione per le volgarità e la violenza della "sale e pepe". Sorrisi fra me e me pensando a quell'arpia dai capelli sale e pepe: poteva mai immaginare che avrei raccontato ai Padroni, nei più intimi particolari, l'accaduto? Al termine, il Padrone commentò, con semplicità, "ci spiace" Al pomeriggio, tornati dal mare, ci fermammo tutti nel giardino. La Padrona disse - Se ben ricordi, ti dissi che non avresti mai più potuto possedermi. Ma vogliamo fare un'eccezione. Mi avrai, ma bendato e davanti al Padrone. Mi porse un foulard. Ricordavo perfettamente quella frase "... non avrai mai più rapporti sessuali con me come donna" Presi il foulard e mi bendai. Sentii le sue mani che prendevano le mie, invitandomi ad alzarmi dalla poltroncina. Avanzai qualche passo, seguendola; dovevamo essere al centro del giardino, avanti alle sdraio. Sentii le sue mani sbottonare la camicia, ed abbassare lo slip. Poi un momento di pausa e quindi sentii portare le mie mani sul suo seno. Ero quasi sconvolto da quella inaspettata sorpresa. Accarezzai i seni con estrema delicatezza, come anfore antiche e pregiate. Mi inginocchiai, seguendola. La mia testa si abbasso, toccando i suoi capezzoli. Era una delle cose che desideravo di più, che aveva popolato i miei sogni, non sapevo se come incubo o come miraggio. La benda sugli occhi, se da un lato non mi permetteva di vedere la sua reazione, e quella del Padrone, nel contempo non distraeva e acuiva gli altri miei sensi. Sentivo che il mio membro era diventato già duro come l'acciaio. Non osavo baciarla sulla bocca, ma fu la sua a cercare la mia. Inspiegabilmente provai un senso di vergogna. Ci sdraiammo sull'erba fresca e facemmo l'amore, come quell'ultima volta. Dopo, in camera mia, steso sul letto, durante quello che era voluto essere, indubbiamente, una "risarcimento" dei Padroni, capii perché avevo provato vergogna. Ricordavo le sue parole, sei mesi prima: "...conducendoli ad una sessualità totale ma depurata da ogni sentimentalismo". Esporre l'anima era ben diverso dal mostrare il corpo. Era giunta la fine della vacanza. Dovevamo preparare i bagagli per tornare in città. Diversamente che nell'andata il Padrone scelse delle poltroncine a "salottino" cioè due coppie di sedili contrapposte. L'aliscafo era semivuoto, essendo oramai settembre e il grosso dei vacanzieri era rientrato, quindi la quarta poltroncina restò libera. Il Padrone odiava la folla opprimente, perciò cercava di fare in modo di sfalsare i suoi spostamenti rispetto alle folle. Ci sedemmo sulle poltroncine, sistemandoci per il viaggio di quasi cinque ore. Poco dopo l'aliscafo partì ed il Padrone disse, rivolgendosi a me: - parliamo un poco, ma non voglio che ti senti condizionato nella discussione, per cui sospendiamo il gioco. - va bene, risposi. Cominciammo a parlare dell'isola, delle splendide nasse alte più di un metro, fatte ancora di vimini, con le quali i pescatori intrappolavano i pesci. Della squisita cena che la Padrona preparò, quando, intercettato un peschereccio che stava tirando a bordo le nasse ne acquistammo tutto il contenuto, compresa una splendida aragosta. Cambiando improvvisamente argomento il Padrone mi chiese - che ne pensi delle tue esperienze con noi? Restai un momento interdetto; non avevano mai chiesto le mie opinioni, e questa domanda improvvisa mi disorientò - mi piace, Padrone. - dimentichi che la sessione è sospesa. Non devi chiamarmi Padrone - si. giusto - allora, che ne pensi e cosa hai capito del BDSM - che uno schiavo deve ubbidire e che i Padroni possono fare tutto quello che vogliono - mi spiace, ma vedo che non hai capito nulla. Le cose sono più articolate e complesse di come ti appaiono. D'altronde non a caso in questo Paese non c'e alcuna cultura sul BdSm e che questa pratica sessuale venga vista come una profonda perversione di coloro che la praticano. Restai in silenzio, ascoltando. La Padrona sfogliava una rivista, con apparente disinteresse alla conversazione. Il Padrone continuò - vedi, dobbiamo fissare in primo luogo dei concetti: per primo dobbiamo chiarire che il BdSm NON è assolutamente una pratica violenta; poi che nell'animo umano è radicata la violenza ed infine che in assenza di una esatta conoscenza delle cose è fin troppo facile associare il BdSm alla violenza. Prendiamo ad esempio il nostro rapporto: puoi dire che, nonostante quello che ti abbiamo ordinato di eseguire e subire, ti abbiamo mai costretto, e quindi esercitato violenza? Ti abbiamo mai fatto subire qualcosa che andava oltre i limiti che tu hai scelto? No, non lo puoi dire. Il vero BdSm è un sottile gioco psicologico, una sfida come lo può essere una partita a scacchi. Solo dopo aver studiato le mosse, e aver valutato l'indole dell'avversario, si muovono i pezzi, attaccando e difendendo. Con te non abbiamo fatto altro che studiare la tua mente, le tue paure, i tuoi desideri inconsci e metterti di fronte a questi, facendoteli affrontare, con il tuo benestare. Per fare questo abbiamo usato l'attrezzo più potente che esista: il sesso. Noi, da parte nostra, abbiamo soddisfatto un'altra esigenza intrinseca nell'animo di tutti: sottomettere un nostro simile, piegarlo alla nostra volontà, renderlo un burattino. Avendone anche un piacere sessuale. Questo spiega perché il BdSm, quando eseguito nell'ambito delle regole, con scrupolosa osservanza del SSC e nella consapevolezza del sub, sia una pratica estremamente soddisfacente. Soddisfazione che va oltre il semplice appagamento sessuale, sia dei Dom che dei sub. Ovviamente, quando invece il "gioco" si svolge senza regole e senza alcuna conoscenza, sia dei Dom che dei sub, tutto si riduce ad una pratica violenta, senza alcuna soddisfazione se non, forse, per i Dom che sfogano i loro istinti bestiali sui sub. E questo è, purtroppo, il comportamento della maggioranza: costoro, praticando il BdSm in questo modo, avallano l'idea generale e distorta di cosa sia un rapporto SadoMaso. Ci vuole molta prudenza, sia del Dom che dei sub, nell'avvicinare eventuali partners per questo tipo di "gioco". Anche se ho preso ad esempio il nostro rapporto, purtroppo noi non siamo la regola. Pochissimi hanno la nostra cultura, in merito, e sono come me e mia moglie, così come anche tu sei particolare. – concluse il Padrone. Avevo ascoltato in silenzio e con attenzione, chiedendomi cosa volesse comunicarmi oltre le parole, ma, al momento, non trovai risposta. Intanto eravamo giunti e l'aliscafo, entrato nel porto, stava attraccando. Scendemmo e ci salutammo. Colsi un momento, inatteso, di imbarazzo nei Padroni. Nel taxi che mi portava a casa concretizzai che non avevamo concordato quando sarei dovuto andare la loro, dandone la colpa alla stanchezza del viaggio ed al trambusto del rientro che ci aveva distratti. Sarei passato dal loro albergo il giorno dopo, nel tardo pomeriggio. Con un senso di ansia mi avvicinai alla reception e chiesi se erano in camera. Il portiere mi consegnò una busta. All'interno un biglietto, con una frase: “Dobbiamo partire con urgenza. Ci spiace. Sei stato un bravo servitore."

Fine
amosolodonne
00martedì 21 aprile 2015 17:31
Considerazione personale:

Ho terminato la postatura di questo racconto che, sinceramente, a me non piace in quanto non ammetto assolutamente la presenza, nel rapporto, di un padrone, ma solo di una Padrona...

spero che a qualcuno è piaciuto...
erotaRodA
00mercoledì 22 aprile 2015 01:20
non accetterei mai neanche io la presenza di un padrone, infatti mi è piaciuto molto fino all'arrivo delle pratiche di cosidetto 'forced Bi', da li meno..
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