LA PORTINAIA PADRONA
Quattro
Dopo la serata trascorsa in compagnia dell’avvocato Santorsi e della signora Vittoria, ero abbastanza mortificato, ma nello stesso tempo eccitato, la signora aveva dato dimostrazione di quanto era cresciuta in lei la convinzione di padrona, ed era chiaro che aveva in pugno entrambi, con me aveva remore, mi considerava un ragazzino feticista, ma l’avvocato era veramente la sua pezza da piedi, Io l’avevo incontrato in ascensore, e tra noi c’era stato un silenzio pieno di significati, quell’uomo mi aveva fatto un pompino, ed era stato picchiato davanti a me, io d’altronde avevo subito tutta la mia sottomissione davanti a lui, eravamo consci dei nostri segreti, e non riuscivamo neanche a salutarci.
La signora Vittoria imperava nei miei pensieri, e quando la vedevo il mio cuore in iniziava a battere più forte, “ciao giovanotto, come va? Tutto ok vero, sai il mio computer è un periodo che va da Dio, saranno state le tue modifiche, però penso che al mattino presto, diciamo verso le cinque, soprattutto il sabato ha qualche problema, sarebbe il caso che gli dai un’occhiata” l’allusione era precisa, infatti venerdì sera i miei andavano via, e lei sapeva che ero a casa, voleva che andassi a fare i lavori da lei, “va bene signora sabato alle cinque sarò da lei”.
Ero felice, quella donna mi eccitava e mi intimoriva, lei non perdeva occasione per ammaliarmi, quando la incontravo per le scale, faceva finta di niente e se non c’era nessuno si tirava su la gonna, e mi sorrideva “siete bellissima signora” lei compiaciuta “fatti poche seghe ragazzo” queste erano le cose succedevano, quindi l’eccitazione era costante, un giorno che puliva i vetri dell’androne con l’uso di una scala, mi chiamò addirittura “Scusa Marco mi prendi quella spugna li a terra” stavo passando nell’androne quando fui sotto la scala mi fermai a guardarle le gambe “bello lo spettacolo? Dai dammi la spugna” aveva delle calze autoreggenti chiare le sue cosce viste da sotto erano lunghissime, mi piacevano da morire avrei voluto abbracciarle, leccarle dove finivano le calze, invece me ne andai con l’uccello in tiro.
Comunque era venerdì sera, ed i miei se ne andarono, andai a letto presto alle quattro e mezza ero sveglio ed alle cinque prendevo la chiave sotto lo zerbino ed entravo in casa della signora Vittoria, la sorpresa fu massima, l’avvocato Santorsi era a quattro gambe, in boxer e canottiera, e stava lavando con uno straccio il pavimento dell’entrata, alzò la testa “ciao Marco” il suo tono era dimesso “buongiorno avvocato” lui si fermò un attimo, “la signora vuole che tu lavi il bagno come sai, io devo fare entrata, cucina e salotto, lei si alzerà alle sette e tutto deve essere finito”, non me l’aspettavo, ma senza dire altro andai nel bagno ed iniziai a pulire, finii presto l’avvocato era alle prese con la cucina, e decisi di dargli una mano, senza parlare, d’altronde la nostra complicità andava ben oltre.
Quando arrivò la signora Vittoria avevamo finito tutto, la casa era splendente, lei in perizoma e tacchi a spillo, aveva le scarpe rosse che già conoscevamo entrambi, e le sue tette imperiose e sfacciate “e bravi i miei schiavetti, fatemi vedere se avete fatto un buon lavoro, iniziamo dall’entrata, seguitemi tutti e due a quattro gambe” lei camminava da Dea davanti a noi due adoranti dietro i suoi tacchi “avvocato, hai lasciato della polvere suo mobile basso” e con il dito mostrò lo sporco di polvere “non dovevi farlo sei un servitore del cazzo meriti subito una punizione esemplare” prese un frustino, che era sicuramente quello che le avevo comprato con il vestito di lattex, “togliti i boxer, e metti bene il culetto a mia disposizione, dimmi quante frustate meriti” l’avvocato che era già pronto “dieci mia signora” lei sembrava soddisfatta “bene marco conta” le dieci frustate furono potenti, date lentamente, provocarono delle righe nitide sul culo di Santorsi, che non emise neanche un gemito “puoi rimetterti i boxer lurida merda” Vittoria continuò l’ispezione fino ad arrivare in bagno dove trovò un pezzettino di carta igienica sul tappeto “hai, hai, il servo Marco ha avuto una svista, punizione, culo a disposizione veloce” non avevo scelta e fu L’avvocato a contare dieci frustate, date più dolcemente, ma le mie urla erano forti, ed anche il mio culo fu segnato: “rivestiti merda”.
Il silenzio regnava, Vittoria era visibilmente soddisfatta “mettetevi con il viso al muro e restate a quattro gambe, faccio colazione e poi torno da voi” se ne andò in cucina, si sentiva l’aroma del caffè, e lei che canticchiava “cosa faccio ai miei schiavetti, ma, devo pensare a qualche giochetto, loro non aspettano altro” un po’ cantava un po’ parlava, ci derideva entrambi, passò una mezz’ora e tornò da noi, diede un calcio all’avvocato nel culo “girati schiavo e adora le mie scarpe, tira fuori quella tua lingua del cazzo e lucidamele” Santorsi si consumò la lingua leccava succhiava, come un matto, “tu non guardare schiavetto faccia al muro” e ricevetti anch’io un calcio nel culo, fece leccare l’avvocato ancora un po’, poi gli tirò due calci di punta nel petto, così forti che questa volta sentii la voce affranta di Santorsi “ahhhhhh, Ahhhhhh” lei lo redarguì “zitto cretino che ti sentono” in effetti due calci così potevano anche rompergli le costole, ma lui si buttò ai suoi piedi continuando a leccare le scarpe “bravo leccale così loro dopo ti puniscono ancora di più”, si girò verso di me, e presi un altro calcio nel culo “tocca a te schiavo più giovane lecca le mie scarpe” la cosa mi ripugnava, erano ancora lucide della saliva dell’avvocato, ma questa era la sua punizione “lecca o ti cambio i connotati a calci in faccia”, e fece la scena di colpirmi, leccai subito con schifo ma leccai, entrambe le sue scarpe, come voleva lei, “bene le scarpe sono pulite, adesso lo schiavo più vecchio, va nello sgabuzzino, e pulisce con la lingua tutte le scarpe che trova, compresi gli stivali, dopo vengo a controllare” e prendendolo a calci lo spinse via, “invece tu vieni in camera che mi devi vestire” e fui accompagnato anch’io a calci fino in camera da letto, dove c’era già tutto pronto calze, gonna camicetta, e grembiule, “toglimi le scarpe”, lei si sedette sul letto, “infilami le calze, se le rompi ti ammazzo di botte” erano delle calze nere autoreggenti, costose e sottilissime, le infilai nelle sue meravigliose gambe, lei si alzò per agevolarmi, le sistemai bene la parte in silicone e mi assicurai di averle messe tutte e due alla stessa altezza “va bene ora la gonna” una gonnellina blù molto corta, la chiusi dietro con la zip “cretino la cerniera va davanti” mi presi una bella sberla “chiedi scusa” non aspettai “mi scusi mia signora” lei si guardò allo specchio, “bene ora la camicetta” si trattava di una camicetta bianca con del pizzo vicino ai bottoni, la lasciai fuori dalla gonna “si va bene fuori” mentre si rimirava allo specchio “che dici sto bene?” stava benissimo, la gonna era talmente corta che si vedeva dove finivano le calze, e questo le dava un aspetto infinitamente sexy, “il grembiule lo metto quando esco, vuoi leccarmi le gambe, penso che sia un po’ di tempo che hai questo desiderio, specialmente quando me le guardavi da sotto la scala” non persi tempo, abbracciai le sue gambe e me le leccai tutte ovunque, lei mi lasciva fare, le piaceva, mi fece insistere nel culo forzandomi la faccia, poi si allargò il perizoma “lecca anche lei, ha voglia” mi insinuai più che potevo e leccai allo sfinimento la sua figa, fino a farla godere “e bravo servo, con la lingua sei fantastico” mi spinse a terra ed iniziò a strusciare la sua suola destra sul mio uccello “vorresti venire, no, non adesso, ho in mente un giochetto per dopo, accontentati” strusciò ancora un po’, poi un calcio segnò la fine del gioco “andiamo a vedere il lucidatore di scarpe, cammina davanti a me a quattro gambe” e così fui accompagnato con i soliti calci nel culo fino allo sgabuzzino, dove l’avvocato aveva fatto un gran lavoro, ma le scarpe erano più di venti paia, e cinque paia di stivali, “ma non hai ancora finito che leccatore di scarpe sei” gli rifilò diverse sberle, di quelle che rintronavano, la testa dell’avvocato era sbattuta da una parte all’altra, “mi scuusi signooora, perdoooono” intanto stava li a prenderle, “basta mettetevi in salotto con il cazzo fuori tutti e due, e state in ginocchio” ci sistemammo vicini, anche l’avvocato era in tiro, “adesso masturbatevi, ma dovete venire solo quando ve lo dirò io” lei stava davanti a noi ci mostrava il culo tirandosi su la gonna “vi piaccio maiali, fermi” e dovevamo smettere “riprendete” la cosa andò avanti così un bel po’ io stavo per venire, non ce la facevo più, ma lei ci fermò nuovamente, “adesso uno masturba l’altro” avevo paura che sarebbe successo, ed infatti, “ho detto uno masturba l’altro, se non lo fate vi prendo tutti e due calci nelle palle e vi faccio venire così, vi prendo a calci finché non venite” l’avvocato avvicinò la sua mano e io feci altrettanto, stranamente il cazzo rimase duro “avanti ora potete venire,” venne prima Santorsi, con uno spruzzo poderoso, io ci misi più tempo, l’avvocato accelerò il ritmo, ed anch’io spruzzai, “fermi servetti, ora pulite tutto ma leccate lo sperma dell’altro, vedete di farlo perché la promessa di prima è sempre valida” e per sollecitarci ci diede una sberla a testa molto forte, questo era il massimo già il mio sperma era difficile da leccare, ma quello di un altro uomo, cercai di rifiutarmi mentre l’avvocato aveva già iniziato, ma i calci che arrivarono nelle palle riuscii a proteggerle con le mani , ma il terzo mi centrò in pieno, il dolore era terribile mi faceva male la testa, ma ormai stavo leccando, Vittoria fu inflessibile, tutte le gocce dovevano essere ripulite, ogni tentennamento fu evitato a suon di sberle, “bravi, c’è voluto un po’ di tempo, ma siete stati bravi” avevo un senso di schifo bestiale, il calcio nelle palle non mi era ancora passato. “che c’è marco, ti fanno male le palline, devi abituarti, stenditi sotto la finestra a pancia in su veloce” con fatica mi rialzai e mi si nella posizione che voleva, lei salì sulla mia pancia con i tacchi, aprì la finestra, e dopo un po’ si mise a parlare con i netturbini che portavano via l’immondizia, “stamattina in ritardo è?” dall’altra parte risposero con una risata, poi passò un’inquilina, e la signora Vittoria si dilungò a chiacchierare schiacciandomi la pancia con forza, i tacchi mi penetravano, meno male che ogni tanto cambiava posizione, “eh cara signora, inizia a far caldo,sono stanca morta, stamattina non mi sono ancora fermata” conoscevo l’inquilina, era una chiacchierona della madonna, ed anche Vittoria non dava segni per terminare la chiacchierata, mi mossi per il dolore, e lei scivolò, rischiando di cadere, mi presi due calci nel fianco dolorosissimi, lei per spiegare “questo sgabello mi farà cadere una volta o l’altra” dall’altra parte sentivo ridere, non contenta mi mise il tacco in bocca, ora stava con il peso solo su di una gamba, ed io dovevo ciucciarle il tacco, la cosa doveva divertirla un sacco, finalmente salutò la inquilina e scese dal suo sgabello umano “non farlo più, ti devi muovere chiedendo il permesso capito” e mi colpì la faccia con un calcio dato col tallone.
Arrivò vicino all’avvocato che era ancora in ginocchio, e senza motivo apparente iniziò a picchiarlo con sberle, calci e pugni, un pestaggio in piena regola, esausta, “contento, era questo che volevi” l’avvocato ansimante “si mia signora grazie, mia signora”.
Si girò verso di me, “alzati coglione, vai a prendermi il grembiule, la padrona ha finito, adesso torna a fare la portinaia, e voi due andatevene, vi siete divertiti abbastanza per oggi”.