=schiavodelleragazze=
00sabato 10 ottobre 2009 01:26
Il suo sguardo era arrogante, beffardo, aveva un atteggiamento che per la differenza di età e il ruolo che rivestivo, forse avrei potuto definire insolente.
Intuii subito che in quel suo comportamento c’era molto di più, che non era solo frutto di una personalità irritante e a tratti infantile, era molto più di tutto questo, era un vicendevole studiarsi, un riconoscersi, sentendo vibrazioni che altri non avrebbero potuto percepire.
Sembrava conoscere perfettamente i miei punti deboli, come se riuscisse a leggere i miei pensieri, anche quelli più oscuri, quelli che non confessavo a nessuno, a volte neanche a me stesso.
Ero abituato ad un atteggiamento ossequioso da parte delle mie tesiste, non ero un vero docente, ma solo un giovane assistente, ma ai loro occhi ero comunque uno dei professori nei confronti dei quali era giusto provare un timore riverenziale.
Ma a Carla sembrava non interessare il mio ruolo, mi trattava come se fossimo alla pari, anzi, a volte sembrava mi trattasse come se si sentisse superiore a me.
La colpa forse era mia, forse ero stato io a cedere involontariamente a quel suo strano ed inspiegabile carisma, ma quando, non avrei saputo dirlo.
Sapevo solo che i suoi attacchi mi avevano destabilizzato poco a poco, come un fiume sotterraneo che aveva abbattuto ogni mia difesa.
Mi riscoprii ossessionato da lei, da quel suo sguardo, dai suoi tacchi, dal modo in cui accavallava le gambe e dondolava il piede.
All’improvviso mi resi conto di non poter fare a meno di pensare a lei, di sognarla, immaginandomi vinto e umiliato al suo cospetto, sì, era proprio questo che sognavo continuamente, questa era la follia che si era impossessata di me e che probabilmente non ero più in grado di celare ai suoi occhi che mi scrutavano attentamente e che spesso sorridevano, sorprendendo i miei mentre frugavano con insistenza nella polvere ai suoi piedi.
Spesso mi perdevo nelle mie fantasie, osservando con desiderio la punta delle sue scarpe, mi chiedevo come fossero i suoi piedi che si celavano al mio sguardo, quale aroma sprigionassero quando li denudava a fine giornata, quale dolce e intensa emozione avrei provato nel sentire il morbido tepore della sua pianta se si fosse adagiato sul mio viso adorante.
“La penna, le spiace?”
“Cosa?”.
“La penna, mi è caduta, le spiace raccoglierla?” mi chiese di nuovo, con tono insistente, come se dover ripetere una richiesta così ovvia le desse noia.
Sedevamo distanti, io alla mia scrivania, lei ad una libera, quella del docente di cattedra, era assurda la sua richiesta, assoluta mancanza di rispetto nei confronti di un suo professore.
Come poteva aspettarsi che io mi alzassi per raccogliere la penna che giaceva ai suoi piedi? Ma soprattutto, come mai io non potei fare a meno di piegarmi a quella richiesta?
Non seppi resistere, mi sentivo come vittima di uno strano incantesimo, e così mi alzai per chinarmi poco dopo davanti a lei, raccolsi la penna e gliela porsi, restando ai suoi piedi in attesa che lei la prendesse dalle mie mani.
Ma Carla invece di prendere la penna, rimase a fissarmi mentre io attendevo in quella posizione umiliante.
“Le piace stare così?” mi chiese, con tono beffardo.
Non ebbi molto tempo per sorprendermi e trovare una risposta adeguata alla sua domanda, perché lei subito dopo spinse la sedia su cui sedeva lontano da me, quel tanto che bastava per permetterle di sollevare le gambe e poggiare i piedi sulla mia spalla.
“Direi proprio di sì”, aggiunse, trovando il mio silenzio un’ottima risposta alla sua domanda, “però se dovesse entrare qualcuno, penso sarebbe piuttosto imbarazzante per te… mi chiedo che scusa inventeresti per giustificarti”.
La sua osservazione riguardo al pericolo di essere sorpreso in quella posizione, mi riportò subito alla realtà, ma quando provai ad alzarmi lei mi fermò.
“Non mi pare di averti dato il permesso di rialzarti” disse, spingendomi nuovamente giù con il piede.
Non mi teneva bloccato e la pressione con cui mi spinse fu lieve, ma non seppi ribellarmi al suo volere e chinai il capo davanti al suo sguardo severo.
“Bene, mi piacciono le persone che sanno come comportarsi”.
“Ti prego” mi scoprii a bisbigliarle sommessamente, “permettimi di tornare al mio lavoro”.
“Puoi pregare meglio di così” mi rispose, liberando la mia spalla e allungando il piede sul mio viso.
“Ti prego, farò qualsiasi cosa, ma non qui”.
“Ma tu fai già tutto quello che voglio, e decido io dove… ora tira fuori la lingua!”.
Senza esitare, in balia del suo sguardo e della sua voce, del suo fascino perverso che fiaccava la mia volontà, eseguii il suo ordine, e lei si divertì a strofinare la suola delle scarpe sulla mia lingua, che nonostante il dolore e il sapore disgustoso, restava ferma, offrendosi docilmente a quell’umiliazione.
“Ora che hai visto come si fa, continua da solo… quando avrai finito di pulirle entrambe, avrai il permesso di alzarti”.
Tenendo i suoi piedi sollevati, iniziai a leccare con cura le suole, fino a farle tornare pulite come se non avessero mai toccato il suolo.
Poco per volta mi abituai al sapore di cuoio e polvere, o forse non ci pensai, preoccupandomi solo di finire il lavoro il prima possibile.
Ero talmente preda dello sterile orgasmo che mi procurava quell’umiliazione, da ridurmi a farle da cane, nonostante il pericolo che qualcuno entrasse e mi sorprendesse in quello stato.
Non era la prima volta che mi capitava di ritrovarmi in una condizione del genere, ricordavo ancora Silvia, la compagna di banco che mi era stata imposta al liceo.
C’era sempre stata un’amichevole antipatia fra di noi, una repulsione spontanea che ci faceva scontrare di continuo, e che allo stesso tempo sembrava ci unisse.
Aveva un fisico tondo, pieno, non era grassa, ma un po’ paffutella, armoniosa nelle sue rotondità, molto femmina, quasi selvaggia nella sua femminilità, ma non era certo il tipo di ragazza da cui mi sentivo attratto, io preferivo di gran lunga le ragazze snelle, quasi filiformi.
Ma da Silvia mi sentivo soggiogato, provavo piacere nel subire il suo atteggiamento prepotente ed arrogante, spesso ero proprio io a provocarlo, cercando sempre di punzecchiarla e creare un qualche conflitto fra di noi.
Quando arrivava il caldo e lei cominciava ad indossare i pantaloncini e gli zoccoli, non potevo fare a meno di sognare che lei si infuriasse con me a un punto tale da afferrarmi per i capelli e scaraventarmi al suolo, tenendomi sotto i piedi.
Lei però non arrivò mai a fare qualcosa del genere, dovetti trovare io il modo di finirci e ricordo che anche allora fu una penna ad offrirmi la giusta occasione, quella che feci cadere sotto la scrivania, un pomeriggio in cui studiavamo insieme per una tesina di italiano sull’amore cortese.
Quando mi infilai sotto la scrivania, Silvia sollevò un piede ed io vidi la suola del suo zoccolo a pochi centimetri dalla mia faccia, mentre mi minacciava di schiacciarmi.
Lo fece per scherzare ed io non avevo nulla di cui preoccuparmi, neanche se avesse avuto intenzione di farlo sul serio, ma ugualmente la pregai di non farlo.
Silvia fu sorpresa dalla mia preghiera, io di solito cercavo lo scontro con lei e per questo le rispondevo sempre a tono, non assumevo mai un comportamento così remissivo.
“Baciami i piedi allora” disse.
Non credo si aspettasse che io lo facessi, il suo fu un modo di rilanciare la posta in gioco, forse per curiosità, forse per semplice istinto.
Quando sentì la mia bocca sui suoi piedi, scoppiò a ridere, una risata che mi annientò.
“Questa la racconterò a tutti” disse, continuando a ridere.
Mi sentii perso all’idea che tutti venissero a sapere che le avevo baciato il piede, la sua minaccia mi terrorizzò, ma allo stesso tempo mi scoprii eccitato sentendomi totalmente in suo potere.
La supplicai e lei non esitò, approfittando della mia improvvisa e inaspettata sottomissione per divertirsi ad umiliarmi, strofinando la pianta del piede, umido di sudore, sulla mia faccia, costringendomi a baciarla e leccarla.
Dal modo in cui gestì quella situazione, si sarebbe detto che anche lei non aspettava altro e continuai a lungo a subire qualsiasi umiliazione, leccandole i piedi ed il legno scolorito dei suoi zoccoli, in cambio del suo silenzio, provando disgusto, ma allo stesso tempo un incontenibile piacere, per quella torbida passione.
In fondo era proprio questo ciò che volevo, qualcosa di torbido, di perverso, da dover nascondere a tutti, vivendo nella continua paura che il mio segreto venisse alla luce.
Ed ora mi ritrovavo in una situazione simile, ma molto più pericolosa.
Al liceo, con Silvia, avrei rischiato solo lo scherno di qualche compagno di classe, ma come assistente che si faceva sorprendere a leccare le suole di una sua tesista, rischiavo molto di più ed una notizia così, se fosse cominciata a girare, sarebbe finita anche sui giornali.
Si trattava di qualcosa di inusuale, particolare, degno di suscitare curiosità morbose nei lettori, potevo aspirare alle prime pagine, magari l’avrebbero detto anche in televisione.
Mi resi conto che il potere che avevo dato a Carla era tale da annientarmi, ed ero certo che lei ne fosse consapevole.
Con Silvia in fondo mi era andata bene, divenni il suo cagnolino e il suo schiavetto, imparando a conoscere bene il sapore dei suoi piedi e del legno consunto dei suoi zoccoli, ma potei contare sul suo silenzio, non ci fu mai neanche un riferimento in presenza di altri su ciò che faceva di me nell’intimità della sua cameretta, anzi, in pubblico cominciò a trattarmi meglio di come non facesse prima che il nostro gioco avesse inizio.
Non sapevo se da Carla potevo aspettarmi tanta discrezione, notavo in lei un sadico piacere nell’umiliazione ed anche una maggiore consapevolezza di ciò che faceva e di quanto potesse avvalersi del suo potere per disporre di me a suo piacimento.
“Hai finito?” mi chiese quando smisi di leccare.
“Sì”.
“Sì cosa?”.
Dalla sua domanda ebbi la conferma che Carla sapeva perfettamente ciò che stava facendo, che malgrado la sua giovane età, aveva compreso subito ciò che poteva fare di me.
“Sì, Padrona”.
Sorrise soddisfatta per la mia risposta e mi fece cenno di prostrarmi, poggiando i piedi sul mio capo e spingendomi con la faccia contro il suolo.
“Sei certo di aver finito e di aver fatto un buon lavoro? Attento a quel che rispondi, in base a questo deciderò se punirti o premiarti”.
Dopo un breve attimo di smarrimento, in cui temetti di dire la cosa sbagliata, mi tranquillizzai, intuendo che in realtà non c’era una domanda giusta o sbagliata, che tutto dipendeva dal suo desiderio di punirmi o premiarmi, così le risposi di essere certo di aver finito il lavoro, del resto, anche se erano anni che non lo facevo, avevo già fatto molta pratica in passato, sotto i piedi di Silvia, e, per la mia esperienza, sapevo di aver pulito bene le suole delle scarpe di Carla.
“Bene, ora vediamo se sei stato bravo” disse, togliendosi le scarpe per osservare se le suole erano davvero pulite.
Intanto io continuavo a stare prostrato con la testa sotto i suoi piedi, sentendo il loro aroma e il tocco morbido della sua pelle avvolta nel nylon delle calze.
Mi chiesi cosa sarebbe stato di me se avesse deciso di punirmi, quale umiliazione avrebbe escogitato e se mi sarebbe stato possibile salvare la mia dignità pubblica.
Non avrei saputo dirle di no, di questo ne ero certo e rabbrividii rendendomi conto del pericolo che correvo.
La mia eccitazione si prendeva gioco del mio buon senso e della mia razionalità, non avrei discusso gli ordini di Carla, avrebbe potuto anche chiedermi di seguirla a quattro zampe per tutto l’ateneo per punirmi, perché io non mi sarei opposto, forse non avrei neanche esitato, perché anche solo immaginando di farlo, sentivo la mia eccitazione crescere e sapevo che questo mi rendeva suo schiavo.
“Sei stato bravo, lecchi meglio di un cane. E un bravo cane merita di essere premiato”.
Era aprile, uno di quei periodi in cui le temperature fanno continuamente scherzi, durante il giorno si passa da un caldo che sembra quasi estivo, ad un freddo che sembra un rigurgito invernale.
Quella mattina faceva fresco, per questo Carla aveva pensato fosse meglio indossare delle calze, ma ora faceva sufficientemente caldo da potersene liberare.
“So che vorresti che il premio fossero i miei piedi, ma non sei ancora pronto per questo, dovrai saperli meritare” disse, leggendo il mio desiderio mentre ammiravo la nudità dei suoi piedi, prima che li nascondesse nuovamente nelle decolté.
Sorridendo mi mostrò le calze appena tolte, era quello il mio premio e le strofinò sul mio viso, ordinandomi di aprire la bocca per infilarcele dentro.
“Ecco, così, come un bravo cane, imparerai a conoscere l’odore della tua Padrona”.
Per fortuna mi restava solo un’ora prima di poter tornare a casa e non venne nessuno a farmi domande, o anche solo a costringermi ad aprire la bocca per rispondere ad un saluto.
Indisturbato raggiunsi la mia auto nel parcheggio ed aprii lo sportello posteriore per far entrare Carla.
Lei mi diede la possibilità di scegliere, potevo portarla a casa mia e farla diventare la sua reggia, nella quale, con discrezione, mi avrebbe addestrato come un cane, così che io imparassi a servirla e adorarla annullandomi ai suoi piedi, salvando così la mia reputazione all’università, oppure lasciare che lei disponesse di me a suo piacimento durante le ore di ricevimento in cui avrei dovuto aiutarla nella stesura della tesi.
La mia, fu una scelta obbligata.
soumisalafemme
00domenica 11 ottobre 2009 21:31
STUPENDO
ttd
00domenica 11 ottobre 2009 23:10
molto bello davvero... intrigante e ben scritto... speriamo continui presto! :p
doc.xy
00lunedì 12 ottobre 2009 08:54
FANTASTICO. continua presto.. :P
povqwerty74
00lunedì 12 ottobre 2009 23:50
E si molto bella
silviosl
00domenica 10 ottobre 2010 18:31
continua dai non lasciarci cosi :)
billibys
00lunedì 11 ottobre 2010 00:37
interessante ...
spero continui ...
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